Febbraio è stato un mese ricco di eventi cinematografici a tema anime. Abbiamo avuto la possibilità di goderci in sala il live action di Let me eat your pancreas, Paprika, la prima stagione di Attack on Titan e, all’inizio di questa settimana, I colori dell’anima, l’ultimo film di Naoko Yamada, ben più nota per La forma della voce, tra i più bei film sul bullismo mai realizzati.
Come ogni lunedì da un mese a questa parte, ho preso la macchina e me ne sono andata a Roma per poter vedere questo lungometraggio uscito l’anno scorso e distribuito in Italia per la prima volta solo per tre giorni, dal 24 al 26 febbraio. Avevo visto il trailer e mi ero fatta un’idea di come sarebbe stato il film, ma devo ammettere di essere rimasta abbastanza stupita di quello che ho visto. Non nego che il divario tra realtà e aspettative non mi ha permesso di godermi da subito il film e mi ha dato non poco da pensare.
La trama
Totsuko è una giovane ragazza che frequenta una scuola cattolica al femminile. Ha una particolarità: riesce a percepire l’anima delle persone sotto forma di colori. Proprio grazie a questa sua peculiarità, rimane affascinata da Kimi, una compagna dalla candida tonalità blu che ama suonare la chitarra e che improvvisamente lascia gli studi. Pur di continuare a frequentarla, Totsuko propone a Kimi di fondare una band di cui entrerà a far parte anche Rui, un ragazzo pressato dalle aspettative della madre che lo vorrebbe medico.
Attraverso la loro amicizia e la creazione di canzoni originali, ognuno dei tre membri affronterà il proprio percorso di crescita e troverà il modo per equilibrare i propri desideri alle aspettative che la società nutre nei loro confronti.
Tutt’altra storia rispetto a La forma della voce
Devo essere onesta, mi aspettavo un film dai temi complessi e profondi e molto più ricco di conflitti. Di conseguenza, mentre guardavo I colori dell’anima non ho potuto fare a meno di chiedermi dove fosse il dramma. Aspettavo lo scoppio della crisi e invece ho assistito a un concerto di canzoni pieno di buoni sentimenti e di gioia. Inizialmente sono rimasta sconcertata. Solo dopo mi sono resa conto di essermi lasciata influenzare dal ricordo che ho dell’altro film di Yamada.
I colori dell’anima è tutt’altra storia rispetto a La forma della voce, come è giusto che sia. Si possono fare confronti in termine di gusti, ma giudicare l’uno sulla base dell’altro può portare a un giudizio parziale e poco attendibile. Solo nel momento in cui ho pensato alla pellicola della regista per ciò che si proponeva di essere, ho iniziato ad apprezzarne le caratteristiche, tanto che sarei curiosa di rivederlo in futuro così da capire quali sensazioni posso provare lasciati da parte i pregiudizi.
Un film pastello
La regista ha detto:
Spero che il pubblico esca dalla sala con una sensazione di tepore nel cuore, che si senta rassicurato. Vorrei che pensi “va tutto bene”
Credo che abbia raggiunto il suo obiettivo. I colori dell’anima è un film buono e positivo. È un abbraccio d’incoraggiamento, una pacca sulla spalla in un momento di sconforto. Non ti porta mai a provare tensione o preoccupazione né ti pone domande esistenziali. Piuttosto cerca di creare in chi guarda una sensazione di serenità, la stessa per cui vediamo più volte pregare Totsuko. Ci riesce combinando due tipi di linguaggio, quello visivo e quello sonoro. Da una parte, infatti, abbiamo i colori pastello che riempiono le inquadrature. Le sfumature così delicate, luminose e bilanciate non possono che trasmettere un senso di pace e di equilibrio. Le melodie create dai protagonisti (di cui è responsabile Kensuke Ushio, autore anche della colonna sonora di Dandandan e di Chainsaw man) sono altrettanto positive e cariche di energia, tant’è che quando vediamo la folla ballare al ritmo della canzone ideata da Totsuko abbiamo voglia di battere le mani e di sorridere anche noi.
Quando si combinano insieme linguaggi legati a sfere sensoriali diverse, in poesia parliamo di sinestesia. Nel film, però, questa parola si riferisce anche alle capacità di Totsuko. Esiste una condizione neurologica che permette ad alcune persone di percepire il mondo associando più sensi tra loro. È così che i suoni appaiono colorati oppure si ricordano alcune parole pensando a determinati sapori. La regista riesca a restituirci una caratteristica distintiva della protagonista attraverso le sue scelte formali su come raccontare la storia. Questo la rende sicuramente meritevole di attenzioni.
Conformare se stessi alle aspettative della società
I colori dell’anima è uno slice of life per definizione. I conflitti che i personaggi sperimentano hanno a che fare con il loro mondo adolescenziale. Sono molto più comuni di quanto non si pensi e, probabilmente, proprio per questo risultano così poco drammatici e teatrali.
Totsuko percepisce il mondo in maniera leggermente diversa dalle altre persone e, di conseguenza, deve fare i conti con il suo essere spesso sognante e assente. Vive tra la voglia di rispettare le regole e la spinta a evaderle. Kimi, invece, è tormentata dal senso di colpa per non essere riuscita ad ambientarsi nella scuola cattolica rendendo così orgogliosa la nonna che si è presa cura di lei e verso cui prova un grande affetto. Rui, invece, si sente obbligato a rinunciare ai suoi sogni da musicista per subentrare alla madre come medico dell’isola in cui vivono. Tutti e tre, quindi, sono divisi tra la voglia di conformarsi e il bisogno di essere ciò che desiderano.
In questo film, non ci vengono offerte soluzioni, ma strategie per trovare serenità e per essere grati all’esistenza. Non si va alla ricerca dei risultati, ma ci si sofferma sul percorso. Non c’è un modo universale per risolvere il conflitto che ognuno di noi percepisce tra realtà e mondo interiore, ma ci sono solo le scelte personali.
L’amicizia come strategia di sopravvivenza
Per trovare la luce nel tunnel, la condivisione con gli altri e le altre è fondamentale. Ancora una volta, il rapporto con chi ci circonda diventa imprescindibile per crescere e per trovare delle risposte, anche temporanee, ai propri dubbi.
Totsuko, Kimi e Rui riescono a trovare il coraggio di crescere stando insieme e condividendo la passione per la musica. Ognuno di loro si mette a scrivere un pezzo che racconta come si sentono e quello che provano. Suonando queste canzoni in pubblico, riescono ad abbracciare i propri conflitti e ad affrontarli con un po’ più di sicurezza.
L’incapacità di Totsuko di percepire il proprio colore è una chiara metafora della difficoltà del conoscere se stessi. La ragazza riuscirà a vedere la sua tonalità solo dopo il concerto, mentre balla la variazione di Giselle che avrebbe tanto voluto danzare ma per la quale non si era mai sentita all’altezza. Non è di certo un caso che riesca a ballare dopo aver trascorso così tanto tempo con Rui e Kimi, né che la percezione del suo colore arrivi solo nel momento in cui riesce a finire un qualcosa prima mai neanche tentato. La sua variazione non sarà perfetta e non avviene di fronte a un pubblico (se non consideriamo i nostri occhi da spettatori/trici), ma questo non ha la minima importanza. Ciò che conta è come si sente Totsuko. Ciò che importa è che ogni passo porta la ragazza a sentirsi più consapevole di sé e del proprio corpo. E tutto ciò le dà la serenità che ha sempre cercato.
I colori dell’anima ci dimostra che non abbiamo bisogno di grandi risultati, ma solo di legami solidi e sinceri attraverso i quali stabilire una connessione più profonda con noi stessi/e tanto da essere in grado di apprezzare e amare i piccoli momenti emozionanti che la quotidianità può offrire.
Parentesi sui colori
I colori attribuiti ai tre protagonisti non sono – ovviamente – casuali.
Il blu è il colore che spesso caratterizza i personaggi affascinanti per il loro essere misteriosi. Questa tonalità è associata all’essere riflessivi, intelligenti e devoti. Kimi è tutto questo. Rui, invece, con la sua natura pacata e tranquilla, il forte senso del dovere nei confronti della famiglia e l’empatia che dimostra è un degno portatore del colore verde che lo rappresenta. Questo colore richiama anche l’immagine della natura e, non a caso, Rui vive in un’isola, non in città.
Arriviamo al colore di Totsuko, il rosso chiaro che vira verso le sfumature del rosa. La combinazione di queste due sfumature rende bene il carattere della protagonista. Il rosso, infatti, indica un personaggio pieno di energia, coraggioso, dinamico e anche un po’ propenso a compiere qualche follia. Il rosa, invece, trasmette un senso di calore e di dolcezza. Totsuko è l’anima del trio, il fuoco della band. Ne è l’ideatrice nonché prima promotrice. Conoscendo un po’ il significato dei colori o pensando a come vengono usati per caratterizzare i personaggi degli anime, dovevamo immaginare quale tonalità sarebbe uscita.
I colori dell’anima è un film buono. Una coccola che ci si può fare durante la settimana per ricordarsi che la vita può anche essere complessa, ma ha tante cose per cui possiamo esserle grata.
Federica Crisci
Scheda tecnica
Titolo originale | Kimi no Iro |
Studio di animazione | Science Saru |
Anno di uscita | 2024 |
Genere | slice of life |
Voto | 3,5/5 |
Da guardare se | si ha bisogno di una coccola |