
Honey Lemon Soda: più dolce che frizzante, ma va bene anche così
Uka Ishimori e Kei Miura sono spesso comparsi nei feed dei miei social durante i passati mesi invernali. Ovviamente, non avevo idea che si chiamassero così ma il titolo dell’anime di cui sono protagonisti ha iniziato a imprimersi nella mia testa insieme all’idea di dare un’occhiata – prima o poi – ai 12 episodi della prima stagione presenti su Chruncyroll.
Il momento propizio è arrivato con le vacanze pasquali. Avendo finalmente un po’ di tempo a disposizione, mi sono decisa a premere il tasto “play” incoraggiata anche dai tanti commenti positivi che mi era capitato di leggere su Internet. È così che, in poco più di 24 ore, sono entrata nella storia di Honey Lemon Soda -sparkling love story. O, almeno, nella sua prima parte.
Nonostante non ne sia rimasta folgorata, mentirei se dicessi che la visione non è stata interessante o coinvolgente. Honey Lemon Soda è carino, intrattiene in maniera piacevole spettatori e spettatrici e vanta alcuni aspetti interessanti. Personalmente, trovo il sottotitolo – sparkling love story – poco adatto a rappresentare la natura dell’anime. Non c’è nulla di “frizzante” nella storia raccontata. Almeno non per il senso che io attribuisco all’aggettivo. Potrei definire sparkling le dinamiche relazionali presenti in Romantic Killer o The apothecary diaries, ma non quelle di Honey Lemon Soda. Per quest’ultimo è molto più adatta l’immagine del miele evocata dal titolo vero e proprio. La mancanza di effervescenza, infatti, è compensata da una buona dose di dolcezza che non si può fare a meno di provare di fronte a certe scene.
Storia d’amore tra i banchi di scuola
Uka Ishimori ha trascorso gli anni della prima adolescenza in maniera tutt’altro che felice. Bullizzata dai suoi coetanei e trattata come una bambola di porcellana dai genitori, ha finito per diventare una persona completamente priva di autostima e di fiducia in sé stessa. Il pensiero di essere condannata a vivere come una pietra per il resto della vita è cresciuto a tal punto da diventare una ferma credenza. L’unico in grado di scalfire questa monolitica certezza è Kei Miura, un ragazzo incontrato per caso che, con poche ma schiette parole di incoraggiamento, le permette di intravedere una via d’uscita dall’isolamento auto-imposto.
Ishimori decide di iscriversi allo stesso liceo del ragazzo e ciò le permette di creare, per la prima volta in vita sua, dei legami relazionali. Grazie a questi, riuscirà a conoscersi e a scoprire i suoi pregi e talenti. Imparerà a prendersi delle responsabilità e ad affrontare situazioni che prima la paralizzavano. Inoltre, sperimenterà per la prima volta l’innamoramento proprio nei confronti di Miura…
E qual è la novità?
Già solo leggendo in queste poche righe la trama di Honey Lemon Soda è facile capire che non si tratta di una storia particolarmente originale. Le dinamiche sono abbastanza classiche e in più occasioni mi sono venuti in mente sia Komi can’t communicate che Blue Box, ma sono sicura che chiedendo a qualcun altro, ci avrà trovato altri rimandi. Forse è per questo che il manga di Mayu Murata – iniziato nel 2015 e composto ad oggi da 27 volumi in Giappone – non è ancora arrivato in Italia.
Giudicare un manga o un anime per l’originalità sarebbe fuorviante. È un’industria che si basa sulla ripetizione di specifici elementi narrativi che si sa essere in grado di suscitare determinate emozioni in chi legge o guarda. Ovviamente non mancano i titoli rivoluzionari o visionari, ma si tratta di eccezioni, non della regola. Non è detto, però, che nelle narrazioni più tradizionali non si possa trovare l’elemento d’interesse che rende la visione unica e l’opera caratteristica. Nel caso di Honey Lemon Soda ce ne sono diversi su cui vale la pena soffermarsi.
Una protagonista che può farcela anche da sola
Uka Ishimori non è una protagonista facile da amare. Esattamente come Myo di Il mio matrimonio felice a primo impatto può risultare pesante per la sua insicurezza, per la fragilità emotiva e per i continui dubbi su sé stessa e sui propri comportamenti. Eppure, rinchiuderla in questa definizione significa non tener conto della sua storia né del processo di crescita che attraversa nel corso degli episodi.
Ishimori è un personaggio molto realistico. L’autostima non si costruisce in un giorno e, soprattutto, non si può basare solo su rassicurazioni esterne che arrivano una o due volte nella vita. Conoscersi e valorizzarsi è un processo lento e ricco di ricadute e tentennamenti. Si può avere difficoltà a riconoscersi in una protagonista simile, ma sarebbe scorretto non attribuirle una grande forza d’animo e una buona capacità di riscatto personale che possono essere fonte d’ispirazione.
L’amore come trampolino di lancio verso sé stessi
Un altro aspetto positivo di Uka da non sottovalutare è la sua voglia di farcela anche da sola. Nonostante il supporto di Kei sia fondamentale per iniziare a credere in sé stessa e per creare nuovi legami relazionali, Ishimori non vuole dipendere dal ragazzo che le piace né si aspetta di essere protetta da lui. Piuttosto, usa la fiducia che lui le ha dimostrato come incoraggiamento per superare gli ostacoli che le si presentano davanti.
Trovo sempre piacevole vedere rappresentate dinamiche simili in una storia perché possono essere illuminanti soprattutto per ragazze di giovane età (target principale dell’anime). A fronte delle tante storie in cui la donna deve aspettare l’arrivo del principe azzurro per essere salvata (presenti ancora oggi), trovarsi di fronte protagoniste in grado di percorrere la propria strada da sole è rigenerante. Ciò non comporta l’esclusione dell’amore romantico, ma ne dà una rappresentazione più sana. Il compagno diventa un alleato, non l’eroe della storia. E così dovrebbe essere anche nella vita di tutti i giorni. Le relazioni che intrecciamo – romantiche e non – sono fondamentali per crescere, per esperire, ma non possono essere determinanti né assolute.
Gelose o solidali?
Ricorderò con piacere Honey Lemon Soda anche per la profonda gentilezza alla base dei legami femminili presenti nella serie. Particolarmente interessante è il rapporto tra Uka e Serina, le due “rivali” in amore.
Siamo abituati/e a vedere il triangolo amoroso rappresentato come una vera e propria competizione: le due contendenti possono essere “sportive” tra loro, ma non sono di certo solidali. Devo ammettere che mi è già capitato di rimanere sorpresa di fronte alla maturità con cui molti personaggi di manga e anime accettano che il loro interesse amoroso sia innamorato di un altro o un’altra. Guardando Inuyasha, ad esempio, ero rimasta colpita da come Kagome si relaziona a Kyoko nonostante la sua giovane età e la paura di perdere la persona da lei amata.
In Honey Lemon Soda questo stesso tema prende una piega ancora più netta. Vediamo Uka e Serina sviluppare un vero e proprio legame di amicizia. Sono sincere l’una con l’altra, si supportano reciprocamente e sono pronte ad aiutarsi a vicenda. Con il loro rapporto ci dimostrano che i legami tra donne non dovrebbero essere condizionati dalla presenza dell’uomo, ma vanno vissuti per ciò che sono. Anche perché le scelte riguardanti i sentimenti sono sempre personali e sono determinate da molteplici e disparati fattori che, magari, non hanno nulla a che fare con la presenza di un’altra persona.
Spezzare i legami con i genitori… oppure no?
Il nono episodio della prima stagione – Addio, me impacciata – è quello che mi ha permesso di apprezzare più di tutti la serie. Si tratta della puntata in cui Uka deve affrontare il padre che si oppone agli amici eccentrici della figlia tanto da decidere di non mandarla più a scuola.
Lo scontro con i genitori è fondamentale in una storia adolescenziale. Se poi questi sono in parte responsabili delle difficoltà del/la protagonista, il confronto è d’obbligo. Cresciuta con un padre iperprotettivo, Uka non è mai riuscita a essere davvero sincera con i suoi genitori. Per non farli preoccupare, ma anche per non intaccare l’immagine idealizzata che loro avevano di lei, la ragazza non è mai stata in grado di confessare le angherie subite alle medie. La mancanza di comunicazione continua anche durante i primi mesi di scuola superiore fino a quando non si arriva al punto di rottura tra i due.
Lo dico senza troppi giri di parole: ho odiato il signor Ishimori. Le sue preoccupazioni per la figlia mi sono sembrate morbose e ho provato parecchio fastidio nel vederlo agire al posto di Uka. Pur essendo fatto tutto in nome dell’amore genitoriale, la cecità di lui di fronte ai desideri e ai bisogni della figlia è difficile da mandare giù.
Ancora una volta, però, sono rimasta sorpresa dalla risoluzione trovata dalla protagonista di Honey Lemon Soda. Guardando la bontà delle intenzioni e restando ferma sui suoi desideri, Uka riesce a trasformare il suo rapporto con il padre senza perderlo del tutto. Per la prima volta, confessa quello che ha dovuto subire e spiega le motivazioni che l’hanno spinta a nascondere tutto. Inoltre, esprime in maniera franca i suoi bisogni portando il genitore ad ascoltarla. In questo modo, può rivendicare la propria libertà di scelta senza rinnegare i suoi legami familiari.
Una risoluzione che può apparire poco realistica (questa sì), ma che comunque non è del tutto improbabile e che rimane bella da guardare.
Honey Lemon Soda: quello che non ho capito
Un episodio che ho avuto difficoltà a guardare, invece, è stato l’undicesimo (Emergete liberamente, miei sentimenti). La colpa è prevalentemente del montaggio. Le tante scene divise tra loro dall’immagine della strada che scorre in avanti mi hanno creato un effetto dissociante piuttosto che immersivo. Non ho ben capito la necessità di questo espediente visivo. Rappresenta il correre degli eventi? Il destino d’amore che sta per compiersi? L’accelerazione della narrazione? Non lo so. In ogni caso, è stato straniante.
Non ho particolarmente apprezzato neanche le inquadrature sovrapposte presenti in alcuni episodi. Gli slide show come se si stesse guardando una presentazione Canva non mi sembrano una trovata particolarmente riuscita dal punto di vista estetico. Potrebbe esserci la volontà di citare le tavole del manga… però stiamo sempre parlando di media diversi che sfruttano linguaggi diversi per la costruzione di un determinato significato. Per omaggiare il lavoro di Murata si potevano trovare tante altre alternative.
I disegni non mi dispiacciono anche se non ho amato particolarmente la scelta di rendere tutti gli occhi gialli. Va bene il richiamo alla limonata, ma c’era davvero bisogno di coinvolgere tutti i personaggi?
Al di là di queste perplessità, le animazioni funzionano e anche il ritmo della storia. I 12 episodi scivolano via velocemente e, una volta finiti, si avrebbe voglia di vedere ancora che cosa succede.
La seconda stagione di Honey Lemon Soda
L’anime ha una sua conclusione, ma il personaggio di Kei rimane alquanto misterioso. So che la prima stagione ha adattato solo i primi 8 volumi della serie e, quindi, non è difficile immaginare che ci sia ancora molto altro da dire e da raccontare. Sembra che la seconda stagione sia in produzione anche se è difficile credere che la vedremo prima del 2026. Con tutto quello che ho da leggere e da vedere, non credo che mi riuscirò a dedicare al manga… però non si sa mai nella vita.
Scheda tecnica
Titolo originale: | Honey Lemon Soda ハニーレモンソーダ |
Studio di animazione: | J.C.Staff e TMS Entertainment |
Anno di uscita: | 2025 (dal 9 gennaio al 27 marzo) – 12 episodi |
Manga: | 27 volumi già usciti, ma la serie è ancora in corso. La prima pubblicazione risale al 2015. Il manga è ancora inedito in Italia. |
Genere: | shojo, romantico, scolastico |
Voto: | 3/5 |
Da guardare se: | si amano gli anime ambientati in ambiente scolastico o se si ha voglia di dolcezza. |
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».

Un’esperienza manhwa: Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion
Avendo un sabato pomeriggio completamente libero, ho deciso di dedicarmi alla visione di un anime (che novità!). Tra i titoli in lista su Chrunchyroll – aggiunto dopo averlo incrociato più volte tra i post del feed di Instagram – c’era lui, Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion. Un altro anime romantico di cui ci si mette più tempo a pronunciarne il nome che non a vederne gli episodi (12 in tutto).
La trama mi ha intrigata immediatamente visto che ci ho rivisto dinamiche e ambientazioni di 7th time loop. Mi preoccupava il numero limitato di episodi: possibile che la storia si esaurisse così in fretta in maniera esaustiva? Ovviamente no, anzi: l’anime termina proprio sul più bello! Come per l’opera di Amekawa, anche per quella di Milcha è stata realizzata una sola stagione animata nel 2023 e ancora non si sa nulla su un possibile seguito (che, però, dubito ci sarà). Così ho dovuto per forza mettermi alla ricerca del manhwa per iniziare a leggerlo. Fortunatamente, la storia è conclusa da un po’ e ho potuto conoscerne la fine così da soddisfare la mia famelica curiosità.
La trama
La storia di Raeliana nasce nel 2016 come web novel scritta da Milcha e pubblicata a puntate su KakaoPage. Un anno dopo, la stessa piattaforma coreana ne propone una versione webtoon illustrata da Whale che andrà avanti fino al 2021. L’anime arriva nel 2023 grazie allo studio giapponese Typhoon Graphics, lo stesso che ora si sta occupando dell’animazione di Anyway, I’m falling in love with you.
In qualsiasi formato la si declini, la sinossi di Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion è la stessa ed è l’aspetto più interessante dell’intera opera.
La giovane Eun-ha Park viene uccisa da una persona misteriosa nella Seoul moderna. Qualche attimo dopo essere precitata dal terrazzo di un grattacielo, si risveglia nei panni di Raeliana McMillan, il personaggio di un libro da lei letto intitolato “Beatrice” come la protagonista del volume. Raeliana, infatti, non è che un personaggio secondario della storia destinato a una fine infelice: deve morire per mano del suo promesso sposo così che la sua amica d’infanzia – Beatrice appunto – possa tornare a casa e incontrarsi con l’uomo a lei destinato, il duca Noah, il protagonista maschile dell’opera. Eun-ha/Raeliana, però, non ha alcuna intenzione di morire una seconda volta. Così cerca di fare di tutto per rompere il suo fidanzamento, sfruttando tutte le conoscenze sulla storia da lei possedute in quanto lettrice del libro.
Poiché tutti i tentativi di annullare il fidanzamento falliscono, Raeliana si vede costretta a coinvolgere nel suo piano Noah in persona. I due stringono un accordo basato sui reciproci interessi che li porta a fingere di essere promessi. Come è facile immaginare, i sentimenti finti in pubblico diventeranno presto reali in privato. La storia tra Raeliana e Noah andrà così a svilupparsi tra attentati alla vita della ragazza e sensi di colpa dovuti alla consapevolezza di aver cambiato la storia e di non essere nata come “prescelta”.
Uno spunto interessante (ma niente di più)
L’idea di partenza di questa storia è vincente. La presenza di un personaggio che conosce il futuro e la vera natura degli altri protagonisti coinvolti offre tantissime possibilità a livello di sviluppo narrativo. Dato che siamo all’interno di un libro di genere romantico, si può approfondire il discorso metanarrativo e sfruttare l’occasione per interrogarsi sui ruoli narrativi e sul destino che li accompagna. Personalmente amo questa tipologia di storie, le trovo ricche di spessore.
Sfortunatamente, la direzione intrapresa dal manhwa (e di conseguenza dall’anime) non è così originale come l’idea di partenza. Credo che nessuna delle due succose opportunità di cui sopra sia stata veramente colta. Raeliana vuole intrattenere il pubblico. Niente di più. Questo non significa, però, che lo faccia male. Ci sono tantissimi cliffhanger che ti portano a chiuderti nella storia e a non lasciarla fino all’ultima vignetta. La narrazione si sviluppa grazie a una serie di misteri da cui si è incuriositi/e e di cui importa la risoluzione.
Non mancano neanche i temi potenzialmente intriganti. La protagonista che riesce a determinare il suo destino senza darsi per vinta in partenza e affrontando le avversità è sicuramente d’ispirazione. La presenza di una figura femminile come Raeliana, decisa, intraprendente e capace, è sicuramente un valore aggiunto dell’opera.
Alla base di Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion c’è una visione dell’amore squisitamente romantica che porta i due protagonisti a cercarsi indipendentemente dall’epoca e dai mondi di appartenenza. Pur non essendo un soggetto particolarmente originale, non è spiacevole da leggere soprattutto se si ha un debole per narrazioni simili.
Un’occasione mancata?
Gli aspetti positivi presenti non mi sono bastati. Pur essendo abbastanza presa dalla storia tanto da aver visto l’anime in un solo pomeriggio e aver letto il manhwa in pochissimi giorni, non l’ho trovato convincente come 7th time loop. Colpa del confronto o del gusto personale predominante nel giudizio finale? Sicuramente. Ma ho la sensazione che chi è appassionato di questo genere e ha già visto un bel po’ di storie simili non potrà fare a meno di considerare questo prodotto come un semplice passatempo. Il che, intendiamoci, va benissimo: nella vita serve anche un po’ di sano intrattenimento.
L’esperienza del web manwha
Non è la prima volta che mi capita di leggere un web manwha, quindi non posso dire di essere stata spiazzata dal formato. Eppure credo che abbia avuto un ruolo non indifferente nel raffreddare la mia empatia verso la storia. È vero che quando mi sono imbattuta in Under the oak tree (che esperienza! Prima o poi ve ne devo parlare!) avevo letto pochissimi manga e fumetti. Di conseguenza il mio occhio non era abituato a un certo tipo di costruzione della tavola.
Credo, però, che il problema sia anche nell’opera in sé. Proprio in questi giorni, infatti, sto dando di nuovo un’occhiata alla storia a fumetti tratta dal libro di Suji Kim e non avverto la stessa insofferenza provata durante la lettura di Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion. Il web manhwa non sfrutta appieno le sue potenzialità. Non c’è un grande uso di effetti e la disposizione delle vignette non aggiunge nulla alla lettura verticale caratteristica dei tablet e degli smartphone. La grandezza degli spazi bianchi non crea chissà che variazioni di ritmo e le inquadrature lasciano un po’ troppo all’immaginazione.
Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion: l’anime senza seconda stagione
Per coprire i “vuoti” lasciati dal web manhwa, c’è l’anime, prodotto godibilissimo e adatto a passare un pomeriggio di totale relax. Preferisco anche i disegni dei personaggi. Nonostante la poca originalità della storia, mi dispiace che non abbiano pensato alla produzione di altre stagioni e che il racconto resti così aperto. Alla fine, di prodotti d’intrattenimento di media qualità ce ne sono tanti… Why Raeliana ended up at the Duke’s mansion non era di certo meno meritevole di altri.
Scheda tecnica
Titolo originale: | Geunyeoga Gongjagjeolo Gaya Haessdeon Sajeong (coreano) |
Studio di animazione: | Typhoon Graphics |
Anno di uscita: | 2023 |
Manhwa: | 2017-2022 (KakaoPage) |
Genere: | storia d’amore |
Voto: | 3/5 |
Da guardare se: | si amano le storie d’amore e si ha un po’ di tempo libero a disposizione. |
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».

7th time loop: tra novel, manga e anime
12 puntate di anime. 2 volumi del manga. 6 light novel.
Questo è stato il loop in cui sono finita nel momento in cui ho schiacciato il tasto “A” della mia Nintendo Switch grazie alla quale posso guardare Chruncyroll dall tv del salotto comodamente seduta sul divano. In quel momento non potevo saperlo. Cercavo un anime carino e breve da guardare nel week-end e 7th time loop rispondeva ai requisiti. Era uno dei titoli che avevo intenzione di recuperare quest’anno di cui avevo sentito parlar bene da mia sorella.
La visione (durata poco più di una giornata) mi ha completamente folgorata. Non avendo a disposizione una seconda stagione, ho cercato notizie sulla fonte originaria della narrazione. Sono così venuta in possesso dei due volumi editi da Magic Press e delle sei light novel che sono diventate oggetto delle mie letture nelle settimane successive.
Quando parlavo di loop, non scherzavo. Mi sono completamente immersa nel mondo di Touko Amekawa. In attesa dell’uscita del settimo volume, cerco di tornare alla vita di tutti i giorni non prima, però, di aver buttato giù un po’ di riflessioni sull’opera da condividere con voi.
La trama
Durante una festa, il principe ereditario di un piccolo paese rompe il suo fidanzamento con Rishe, sua promessa sposa da quando erano bambini. La ragazza non sembra né sorpresa, né disperata come ci si aspetterebbe. D’altra parte, è ormai la settima volta che rivive quella stessa scena e sa benissimo che da quel momento in poi sarà finalmente libera di vivere la vita che desidera. L’ha fatto già sei volte, scegliendo sempre carriere diverse e assecondando così la sua infinita curiosità sul mondo. Sfortunatamente, ogni loop vissuto si interrompe dopo 5 anni dalla rottura del fidanzamento.
In questa nuova vita, Rishe decide di usare un’uscita mai provata precedentemente. Mentre sta pensando quale tipo di carriera avviare, si scontra con il principe Arnold Hein, l’erede del potente impero di Galkhein. Rishe lo conosce bene: si tratta dell’uomo che nel giro di qualche anno scatenerà una sanguinosa guerra contro i paesi vicini, guerra che in ogni loop è stata responsabile delle morti di Rishe. Nella vita appena conclusa, la ragazza è stata uccisa proprio da Arnold durante un combattimento.
Arnold viene subito colpito da Rishe tanto da chiederla in sposa. Inizialmente, la ragazza è titubante ma poi pensa che avvicinarsi al principe sia l’unico modo per capire che cosa lo porta a uccidere il padre e a dichiarare guerra al mondo intero. Inoltre, questo fidanzamento le permetterà di realizzare un sogno che si porta dietro dalla sua prima vita: vedere tutti i paesi del mondo.
Da nemici a promessi sposi…
Una volta al fianco di Arnold, Rishe scopre che il futuro marito fa di tutto per vivere all’altezza della sua fama di uomo freddo e crudele, ma non lo è affatto. Anzi, la ragazza si rende conto che l’indole del principe è essenzialmente gentile e che la sua grande intelligenza lo porta ad agire più verso il bene che non verso il male.
Mentre il legame tra i due promessi sposi cresce sempre di più, Rishe cerca di cambiare gli eventi per sventare lo scoppio del conflitto. Per farlo, si serve sia delle esperienze e conoscenze acquisite che delle persone conosciute durante le vite precedenti incontrate di nuovo in questo loop.
Riflessioni sulla storia
Se Rishe riuscirà nel suo intento, resta ancora un mistero. Pur leggendo i romanzi (i più completi dal punto di vista della trama), è chiaro che la vicenda è ancora alle battute iniziali e che tanto ancora deve succedere e deve essere rivelato. Di conseguenza, ho più domande che non riflessioni da fare (e a cui vorrei davvero tanto una risposta!). Nonostante questo, condivido qualche considerazione anche per dare un po’ di soddisfazione al loop in cui sono finita.
L’eroina della storia
Non mi aspettavo di trovare una protagonista così. Lo ammetto, ero partita prevenuta basandomi sul genere dell’anime e anche sulla fisicità che hanno assegnato a Rishe (i capelli rosa e il seno molto più pronunciato rispetto ai disegni del manga e dei romanzi). Immaginavo una donna molto più dipendente dal legame affettivo, un po’ simile a Myo di Il mio matrimonio felice. Invece, sorpresa! L’eroina animata davanti ai miei occhi era una ragazza determinata a vivere dando valore alle proprie scelte.
Rishe si è liberata del proprio ruolo di “fidanzata” già all’inizio della narrazione. Scopriamo che per ricoprire quella parte era stata costretta a sacrificare interessi, passioni e desideri personali al punto tale da considerare le prediche genitoriali (“La vera felicità di una donna è sposare un uomo riconosciuto da tutti e dargli dei figli”) una maledizione. Una volta esiliata, dopo un primo momento di sconforto, Rishe capisce di avere un’opportunità: scegliere chi essere e cosa fare, indipendentemente dal genere d’appartenenza o dalla classe sociale di nascita. A quel punto, Rishe si apre al mondo: ogni sua nuova vita è un’occasione per scoprire qualcosa di nuovo, per sperimentare più situazioni possibili e imparare da queste.
Ed è così che Rishe costruisce il mantra che l’accompagna in ciascuna delle sue esistenze:
Sono io e solo io a decidere ciò che conta nella mia vita.
Rishe è una donna libera che decide di non lasciarsi mai più incatenare dalle convinzioni delle persone che la circondano. Questo le permette di morire ogni volta senza alcun rimpianto.
Una storia d’amore costruita sulla libertà
Nel corso del suo settimo loop finirà per innamorarsi per la prima volta nella sua (lunga) vita.
Nella relazione tra Arnold e Rishe ci sono diversi aspetti che si trovano in tante altre storie romantiche: abbiamo la protagonista femminile che cerca di salvare il proprio partner da se stesso donandogli l’amore che non ha mai conosciuto nell’età infantile. Eppure, Amekawa ci tiene a costruire il rapporto tra i due su un valore esplicitamente dichiarato: la libertà degli individui che lo compongono. Questo è sicuramente l’aspetto più interessante di tutta la loro storia d’amore. Vale qui il discorso che facevo per Romantic killer: servono trame in grado di promuovere aspetti più funzionali e sani dei legami. E questo 7th time loop lo fa bene pur presentando tantissime scene squisitamente extra-romantiche.
È fuori discussione che buona parte della narrazione (in qualsiasi forma) ruoti intorno alle scene tra i due. Anzi, ho notato che man a mano che il sentimento tra Rishe e Arnold cresce, la ragazza agisce sempre meno in autonomia. Nei primi volumi (e nella prima stagione dell’anime), è lei da sola a ingegnarsi e a progettare piani d’azione per spingere Arnold ad agire diversamente. Negli ultimi, invece, Rishe coinvolge il principe nei suoi progetti, si appoggia alla sua forza e cerca di guadagnarsi la fiducia del ragazzo per portarlo a fare altrettanto. Questo non a scapito della sua indipendenza o dei suoi valori. L’amore di Rishe per Arnold non le impedisce di continuare a “ostacolare” i progetti di guerra del futuro marito, anzi la rende più risoluta nel tentare di fermarli. Il sentimento amoroso dovrebbe essere proprio questo: una forza in aggiunta, non in sottrazione.
Poter vivere e rivivere la propria vita
I loop temporali sono sicuramente la parte più intrigante di 7th time loop. Non sappiamo ancora che cosa li generi. Personalmente, credo che abbia a che fare proprio con la storia d’amore tra i protagonisti, ma potrei essere facilmente smentita prossimamente, anche perché nel sesto romanzo compare un personaggio misterioso che Rishe sospetti sia simile a lei.
L’idea di avere a disposizione più vite e di dedicare ciascuna di esse a una carriera o a un’esperienza è veramente intrigante. È un gioco che nella vita può capitare di fare tra amici/che. Da persona che ama provare cose diverse e che passa tantissimo tempo a contemplare l’universo dei what if non ho potuto fare a meno di amare l’impianto della storia di Rishe. Impianto che ci mostra quanto l’esperienza sia fondamentale nelle scelte e nelle azioni che compiamo giorno dopo giorno.
Rishe può avere molti pregi, ma sono tutti coltivati, non innati. La curiosità, lo studio e l’impegno sono ciò che porta i suoi talenti a sbocciare. Le ci son volute ben 6 vite per raggiungere un simile livello, a riprova che tutto ciò che viviamo dovrebbe essere preso da noi come un’opportunità per imparare qualcosa di più sul mondo e su di noi.
Personaggi secondari
Intorno alla storia d’amore tra Arnold e Rishe si muovono le storie di tutti gli altri personaggi che li circondano: Michel Hevin, la principessa Harriet, la piccola Millia, il cacciatore Raul, il principe Dietrich sono solo alcuni della lunga lista che potrei tracciare qui. Ognuno di loro porta con sé un tema che di volta in volta viene affrontato nel corso del romanzo. Si va da ciò che dà valore ai legami affettivi al peso dato dai doveri di nascita, dall’insicurezza personale alla difficoltà nel comprendere le proprie emozioni dopo una vita passata a nasconderle. Una simile varietà contribuisce a rendere la storia dinamica e anche istruttiva, per certi versi.
Una storia, tre medium
C’è chi mi potrebbe considerare esagerata poiché ho letteralmente divorato questa storia in qualsiasi formato l’abbia trovata. Che bisogno c’è di leggere e vedere un racconto di cui conosci già le dinamiche? Al di là del mio amore per i rewatch, devo ammettere di aver trovato stimolante la possibilità di confrontare i diversi adattamenti della relazione tra Rishe e Arnold. È interessante vedere di volta in volta come i vari linguaggi usati nel mondo dell’arte e della comunicazione possono essere usati per veicolare la stessa narrazione. Devo dire che ciascun medium di 7th time loop fa il suo dovere: i romanzi sono coinvolgenti, il manga è visivamente coinvolgente e l’anime è d’intrattenimento.
Personalmente, credo che il manga sia il migliore dei tre, però è un’opinione spassionata e puramente soggettiva.
Romanzi
Ho letto i romanzi in inglese, lingua che capisco abbastanza bene ma che non pratico quotidianamente (soprattutto da quando guardo anime!). Di conseguenza, l’idea che mi sono fatta dello stile dell’autrice è sicuramente parziale. L’impressione è che la prosa sia piuttosto semplice e costruita per intrattenere un pubblico più eterogeneo possibile. Non ci sono grandi manierismi nell’uso del linguaggio. In compenso, la costruzione della trama è piuttosto sapiente. Non sono pochi i cliff hanger disseminati alla fine dei capitoli che ancora non hanno visto una risoluzione (che cosa ha detto Arnold a Rishe prima che lei morisse alla fine del suo sesto loop? Qual è il desiderio di Arnold che vuole realizzare grazie a/attraverso Rishe?). Il meccanismo funziona bene, tanto che in pochissimi giorni si può finire l’intera saga, come è successo a me.
È interessante la scelta di dedicare ciascun volume a un personaggio che ha fatto parte delle vite di Rishe. Mi domando cosa s’inventerà l’autrice per il settimo volume visto che, in teoria, abbiamo coperto già tutte le esistenze della protagonista. La costruzione del legame tra i protagonisti è graduale e ben fatta.
Quindi, si tratta sì di un prodotto d’intrattenimento, ma non per questo da sottovalutare.
Manga
Nel 2021, la Overlap ha avviato la produzione per l’adattamento della storia di 7th time loop in un manga. I disegni sono stati affidati a Hinoki Kino che, pur riprendendo i character design di Wan Hachipisu (disegnatrice dei romanzi), dà il proprio tocco personale agli stessi. Lei ha disegnato anche il manga NO.6, quasi sconosciuto ma veramente molto molto bello.
Quella che potrebbe sembrare un’operazione puramente commerciale è, in realtà, un prodotto ben concepito. Il modo di costruire le tavole di Kino è veramente interessante. Le inquadrature sono d’impatto e rendono molto bene l’atmosfera e il senso della storia. Basta guardare già la prima tavola per rendersene conto:

La tavola iniziale è composta da una sola immagine, cosa piuttosto insolita nei fumetti. Questo già da sé provoca un impatto non indifferente nel lettore o nella lettrice. Inoltre, la prospettiva centralizzata e la figura principale di spalle hanno un duplice effetto: da una parte si ha la curiosità di girare pagina per vedere la protagonista, dall’altra si ha come l’impressione di essere “risucchiati” in un vortice, il loop di cui il titolo ci dà conto.
Dire che la disegnatrice predilige la gabbia libera è riduttivo: molte sono le figure in sovraimpressione che fanno da raccordo tra due o più vignette. Ciò rende le immagini molto dinamiche senza far perdere loro di chiarezza. Sono molto belli anche i disegni in cui i vari loop temporali vissuti da Rishe si affacciano nel presente.
Le scene più umoristiche presenti nel romanzo sono enfatizzate nel manga grazie all’uso dei disegni chibi, delle onomatopee e delle didascalie/commento che si sommano alle battute dei personaggi. Di conseguenza, nel manga si recupera una dimensione più leggera: quello che nell’anime o nei romanzi suscitava solo un sorriso, nel manga fa proprio ridere.
Anime
La produzione dell’anime è stata avviata nel 2023 dallo Studio Kai. I 12 episodi della prima stagione sono andati in onda da gennaio a marzo 2024 e, ad oggi, ancora non si hanno notizie sulla possibile realizzazione di una seconda stagione. Le puntate coprono solo i primi due volumi dei romanzi, un arco narrativo minimo rispetto allo sviluppo della storia, e possono davvero essere considerate una semplice introduzione all’opera. Parlando con un mio amico – nerd da molti più anni di me che attualmente vive in Giappone – ho scoperto che spesso le versioni anime delle light novel servono a spingere le vendite dei libri più che a serializzare la storia. La mancanza di una seconda stagione, quindi, potrebbe essere dovuta proprio a questo motivo e potremmo attendere invano per anni.
Onestamente, un po’ mi dispiace perché il lavoro d’animazione fatto su 7th time loop non è affatto male. La prima sequenza dell’anime – originale rispetto ai prodotti cartacei – lo dimostra chiaramente. La scelta di partire dal momento della sesta morte di Rishe ci mette immediatamente di fronte ai due protagonisti della storia e al loro rapporto di amore e morte. Le inquadrature iniziali che seguono Arnold mentre entra nel castello senza mostrarlo mai in volto e accompagnato solo dai rumori della pioggia e del campo di battaglia hanno un forte impatto sullo/a spettatore/spettatrice e sono la cornice perfetta per introdurre il personaggio maschile. Personalmente adoro il momento in cui, durante il duello tra il cavaliere Rishe e il principe, la spada della ragazza si spezza e cadendo mostra il riflesso dell’una e dell’altro. Sono tutti espedienti visivi che servono a tratteggiare il legame fatale che unisce i due futuri promessi sposi. E sono belli.
Mentre leggevo i vari romanzi, mi è capitato spesso di desiderare di vedere animate quelle scene. Perché si sa che per quanto l’immaginazione possa essere appagante, la realtà può essere ancora più appagante. Purtroppo, in questo caso, ci resta poco da fare se non incrociare le dita e sperare.
Scheda tecnica
Titolo originale: | Loop 7-kaime no Akuyaku Reijō wa, Moto Tekikoku de Jiyū Kimamana Hanayome Seikatsu o Mankitsu Suru |
Studio di animazione: | Studio Kai |
Anno di uscita: | 2024 |
Manga e novel: | I romanzi di Touko Amekawa illustrati da Wan Hachipisu sono usciti per la prima volta nel 2020 e vanno avanti tuttora. Il manga viene disegnato da Hinoki Kino per la rivista Comic Gardo. Le pubblicazioni sono iniziate nel 2020 e vanno ancora avanti. |
Genere: | romance, fantasy. |
Voto: | 4/5 |
Da guardare/leggere se: | si vuole conoscere una protagonista forte e determinata, se si amano le tavole costruite in maniera originale e se si è appassionati/e di storie d’amore. |
Federica Crisci

I colori dell’anima: storie di crescita su sfondi pastello
Febbraio è stato un mese ricco di eventi cinematografici a tema anime. Abbiamo avuto la possibilità di goderci in sala il live action di Let me eat your pancreas, Paprika, la prima stagione di Attack on Titan e, all’inizio di questa settimana, I colori dell’anima, l’ultimo film di Naoko Yamada, ben più nota per La forma della voce, tra i più bei film sul bullismo mai realizzati.
Come ogni lunedì da un mese a questa parte, ho preso la macchina e me ne sono andata a Roma per poter vedere questo lungometraggio uscito l’anno scorso e distribuito in Italia per la prima volta solo per tre giorni, dal 24 al 26 febbraio. Avevo visto il trailer e mi ero fatta un’idea di come sarebbe stato il film, ma devo ammettere di essere rimasta abbastanza stupita di quello che ho visto. Non nego che il divario tra realtà e aspettative non mi ha permesso di godermi da subito il film e mi ha dato non poco da pensare.
La trama
Totsuko è una giovane ragazza che frequenta una scuola cattolica al femminile. Ha una particolarità: riesce a percepire l’anima delle persone sotto forma di colori. Proprio grazie a questa sua peculiarità, rimane affascinata da Kimi, una compagna dalla candida tonalità blu che ama suonare la chitarra e che improvvisamente lascia gli studi. Pur di continuare a frequentarla, Totsuko propone a Kimi di fondare una band di cui entrerà a far parte anche Rui, un ragazzo pressato dalle aspettative della madre che lo vorrebbe medico.
Attraverso la loro amicizia e la creazione di canzoni originali, ognuno dei tre membri affronterà il proprio percorso di crescita e troverà il modo per equilibrare i propri desideri alle aspettative che la società nutre nei loro confronti.
Tutt’altra storia rispetto a La forma della voce
Devo essere onesta, mi aspettavo un film dai temi complessi e profondi e molto più ricco di conflitti. Di conseguenza, mentre guardavo I colori dell’anima non ho potuto fare a meno di chiedermi dove fosse il dramma. Aspettavo lo scoppio della crisi e invece ho assistito a un concerto di canzoni pieno di buoni sentimenti e di gioia. Inizialmente sono rimasta sconcertata. Solo dopo mi sono resa conto di essermi lasciata influenzare dal ricordo che ho dell’altro film di Yamada.
I colori dell’anima è tutt’altra storia rispetto a La forma della voce, come è giusto che sia. Si possono fare confronti in termine di gusti, ma giudicare l’uno sulla base dell’altro può portare a un giudizio parziale e poco attendibile. Solo nel momento in cui ho pensato alla pellicola della regista per ciò che si proponeva di essere, ho iniziato ad apprezzarne le caratteristiche, tanto che sarei curiosa di rivederlo in futuro così da capire quali sensazioni posso provare lasciati da parte i pregiudizi.
Un film pastello
La regista ha detto:
Spero che il pubblico esca dalla sala con una sensazione di tepore nel cuore, che si senta rassicurato. Vorrei che pensi “va tutto bene”
Credo che abbia raggiunto il suo obiettivo. I colori dell’anima è un film buono e positivo. È un abbraccio d’incoraggiamento, una pacca sulla spalla in un momento di sconforto. Non ti porta mai a provare tensione o preoccupazione né ti pone domande esistenziali. Piuttosto cerca di creare in chi guarda una sensazione di serenità, la stessa per cui vediamo più volte pregare Totsuko. Ci riesce combinando due tipi di linguaggio, quello visivo e quello sonoro. Da una parte, infatti, abbiamo i colori pastello che riempiono le inquadrature. Le sfumature così delicate, luminose e bilanciate non possono che trasmettere un senso di pace e di equilibrio. Le melodie create dai protagonisti (di cui è responsabile Kensuke Ushio, autore anche della colonna sonora di Dandandan e di Chainsaw man) sono altrettanto positive e cariche di energia, tant’è che quando vediamo la folla ballare al ritmo della canzone ideata da Totsuko abbiamo voglia di battere le mani e di sorridere anche noi.
Quando si combinano insieme linguaggi legati a sfere sensoriali diverse, in poesia parliamo di sinestesia. Nel film, però, questa parola si riferisce anche alle capacità di Totsuko. Esiste una condizione neurologica che permette ad alcune persone di percepire il mondo associando più sensi tra loro. È così che i suoni appaiono colorati oppure si ricordano alcune parole pensando a determinati sapori. La regista riesca a restituirci una caratteristica distintiva della protagonista attraverso le sue scelte formali su come raccontare la storia. Questo la rende sicuramente meritevole di attenzioni.
Conformare se stessi alle aspettative della società
I colori dell’anima è uno slice of life per definizione. I conflitti che i personaggi sperimentano hanno a che fare con il loro mondo adolescenziale. Sono molto più comuni di quanto non si pensi e, probabilmente, proprio per questo risultano così poco drammatici e teatrali.
Totsuko percepisce il mondo in maniera leggermente diversa dalle altre persone e, di conseguenza, deve fare i conti con il suo essere spesso sognante e assente. Vive tra la voglia di rispettare le regole e la spinta a evaderle. Kimi, invece, è tormentata dal senso di colpa per non essere riuscita ad ambientarsi nella scuola cattolica rendendo così orgogliosa la nonna che si è presa cura di lei e verso cui prova un grande affetto. Rui, invece, si sente obbligato a rinunciare ai suoi sogni da musicista per subentrare alla madre come medico dell’isola in cui vivono. Tutti e tre, quindi, sono divisi tra la voglia di conformarsi e il bisogno di essere ciò che desiderano.
In questo film, non ci vengono offerte soluzioni, ma strategie per trovare serenità e per essere grati all’esistenza. Non si va alla ricerca dei risultati, ma ci si sofferma sul percorso. Non c’è un modo universale per risolvere il conflitto che ognuno di noi percepisce tra realtà e mondo interiore, ma ci sono solo le scelte personali.
L’amicizia come strategia di sopravvivenza
Per trovare la luce nel tunnel, la condivisione con gli altri e le altre è fondamentale. Ancora una volta, il rapporto con chi ci circonda diventa imprescindibile per crescere e per trovare delle risposte, anche temporanee, ai propri dubbi.
Totsuko, Kimi e Rui riescono a trovare il coraggio di crescere stando insieme e condividendo la passione per la musica. Ognuno di loro si mette a scrivere un pezzo che racconta come si sentono e quello che provano. Suonando queste canzoni in pubblico, riescono ad abbracciare i propri conflitti e ad affrontarli con un po’ più di sicurezza.
L’incapacità di Totsuko di percepire il proprio colore è una chiara metafora della difficoltà del conoscere se stessi. La ragazza riuscirà a vedere la sua tonalità solo dopo il concerto, mentre balla la variazione di Giselle che avrebbe tanto voluto danzare ma per la quale non si era mai sentita all’altezza. Non è di certo un caso che riesca a ballare dopo aver trascorso così tanto tempo con Rui e Kimi, né che la percezione del suo colore arrivi solo nel momento in cui riesce a finire un qualcosa prima mai neanche tentato. La sua variazione non sarà perfetta e non avviene di fronte a un pubblico (se non consideriamo i nostri occhi da spettatori/trici), ma questo non ha la minima importanza. Ciò che conta è come si sente Totsuko. Ciò che importa è che ogni passo porta la ragazza a sentirsi più consapevole di sé e del proprio corpo. E tutto ciò le dà la serenità che ha sempre cercato.
I colori dell’anima ci dimostra che non abbiamo bisogno di grandi risultati, ma solo di legami solidi e sinceri attraverso i quali stabilire una connessione più profonda con noi stessi/e tanto da essere in grado di apprezzare e amare i piccoli momenti emozionanti che la quotidianità può offrire.
Parentesi sui colori
I colori attribuiti ai tre protagonisti non sono – ovviamente – casuali.
Il blu è il colore che spesso caratterizza i personaggi affascinanti per il loro essere misteriosi. Questa tonalità è associata all’essere riflessivi, intelligenti e devoti. Kimi è tutto questo. Rui, invece, con la sua natura pacata e tranquilla, il forte senso del dovere nei confronti della famiglia e l’empatia che dimostra è un degno portatore del colore verde che lo rappresenta. Questo colore richiama anche l’immagine della natura e, non a caso, Rui vive in un’isola, non in città.
Arriviamo al colore di Totsuko, il rosso chiaro che vira verso le sfumature del rosa. La combinazione di queste due sfumature rende bene il carattere della protagonista. Il rosso, infatti, indica un personaggio pieno di energia, coraggioso, dinamico e anche un po’ propenso a compiere qualche follia. Il rosa, invece, trasmette un senso di calore e di dolcezza. Totsuko è l’anima del trio, il fuoco della band. Ne è l’ideatrice nonché prima promotrice. Conoscendo un po’ il significato dei colori o pensando a come vengono usati per caratterizzare i personaggi degli anime, dovevamo immaginare quale tonalità sarebbe uscita.
I colori dell’anima è un film buono. Una coccola che ci si può fare durante la settimana per ricordarsi che la vita può anche essere complessa, ma ha tante cose per cui possiamo esserle grata.
Federica Crisci
Scheda tecnica
Titolo originale | Kimi no Iro |
Studio di animazione | Science Saru |
Anno di uscita | 2024 |
Genere | slice of life |
Voto | 3,5/5 |
Da guardare se | si ha bisogno di una coccola |

Romantic killer: ecco cosa possiamo capire sull’amore
Nel mondo dei manga e degli anime non mancano di certo le storie d’amore. D’altra parte, si tratta di uno dei temi narrativi più antichi al mondo. Da quando l’essere umano ha iniziato a raccontare storie non ha potuto fare a meno di mettere in scena il sentimento romantico, di interrogarsi sulla sua origine, sulla sua potenza, sui suoi cambiamenti, sulle sue sfaccettature.
Nonostante tutta la letteratura, i film, le serie tv, i saggi, le discussioni di qualsiasi grado di profondità e le esperienze quotidiane nostre e degli altri, ancora ci troviamo disarmati di fronte ai sentimenti d’amore che proviamo. Non tutti/e riusciamo a definirlo e le persone che ci riescono partono da quanto da loro provato senza considerare le innumerevoli sfaccettature di fronte alle quali ci si può trovare nella vita.
Ho guardato diversi anime e letto numerosi manga su questo argomento. Alcuni mi sono piaciuti da impazzire, molti mi hanno fatto ridere, altri ancora mi hanno fatto commuovere. Quando, però, pensavo a un titolo di cui parlare in occasione di San Valentino, ho capito che ce n’era solo uno che poteva davvero raccontare la mia visione dell’amore e tutto ciò che significa per la nostra specie: Romantic killer.
Una storia d’amore che non è una storia d’amore
Anzu Hoshino è una ragazza con tre ragioni di vita: i videogiochi, il cioccolato e il suo gatto, Momoichi. Non ci pensa proprio ai ragazzi né alle storie d’amore fin quando dalla sua televisione non comprare Riri, un essere magico incaricato di risolvere il problema della bassa natalità in Giappone. Anzu è stata scelta come primo soggetto di un esperimento volto a far nascere nuove coppie che un domani potrebbero risollevare il tasso demografico nipponico, propio lei che del sentimento romantico non sa nulla né è interessata a conoscerlo.
Riri sottrae ad Anzu le sue ragioni di vita e le assicura che da quel momento in poi la sua vita diventerà come quella di un’eroina degli shojo manga. E così, la strada della sedicenne è portata a incrociarsi con quella di Tsukasa Kazuki, Junta Hayami e Hijiri Koganei, tre bellissimi ragazzi, ognuno con una sua peculiarità, tra cui ci potrebbe essere solo l’imbarazzo della scelta. Anzu, però, è determinata a non cedere al ricatto di Riri: recupererà i suoi tre grandi amori rimanendo single.
Cosa Romantic killer ci insegna sull’amore
Sebbene Anzu sia intenzionata a non innamorarsi di nessuno dei suoi pretendenti, finisce per affezionarsi profondamente ai ragazzi che ha intorno e sviluppa con loro un rapporto sincero, tenero, di scambio.
Si sente molto parlare di “relazioni sane” in contrapposizione a quelle “tossiche”. Tutte e tutti noi ci troviamo almeno una volta nella vita invischiati in legami che portano a provare molte più emozioni negative che positive e da cui risulta difficile tirarsi fuori per tutta una serie di motivazioni (per alcuni succede sistematicamente). Tali rapporti così sofferti nascono non solo in amore, ma anche in amicizia, perfino negli ambienti lavorativi. Complici di queste relazioni malsane sono tante idee sociali e culturali che circolano sull’amore, sul maschile e sul femminile. Responsabili di queste immagini sono anche – ahimé – i prodotti culturali, di qualsiasi epoca e provenienza, che rispecchiano in pieno le tradizioni del proprio tempo. Molte persone non saranno d’accordo con me, ma io sono profondamente convinta che le storie raccontate nei film, nei libri, nelle serie, nei fumetti finiscano per influenzare e modellare il nostro immaginario quasi quanto (in alcuni casi anche tanto quanto) le esperienze che viviamo o l’educazione che riceviamo.
Crediamo che l’amore vero comporti sofferenza, che il compito della persona che ci ama sia salvarci dal male, che le persone che amiamo ci appartengano, che esista un unico grande amore per tutti/e noi, che il fine ultimo della vita (soprattutto per le donne) sia aspirare al matrimonio e che le relazioni amorose servano a mettere su famiglia. Tutto ciò, quando inteso in senso assoluto e non in maniera complessa, rischia di dar vita a dinamiche relazionali particolarmente dannose. Di conseguenza, non potremo mai liberarci di rapporti tossici se non iniziamo a promuovere modelli di relazioni migliori.
È qui che entra in gioco Romantic killer con le sue non-storie d’amore. Piuttosto che focalizzarsi su un’idea di relazione, l’opera si concentra sul modo in cui si costruiscono i legami. Quest’ultimi possono avere varie nature, ma sono fondamentali per crescere, per comprendersi, per perdonarsi. In altre parole, per vivere.
Anzu e Kazuki
Il rapporto tra Anzu e Kazuki è quello che ci accompagna per più tempo nel corso dei 12 episodi della serie disponibile su Netflix ed è quello che più di tutti cambia nel corso del tempo tanto da portare il ragazzo a innamorarsi della protagonista nonostante inizialmente non avesse alcun tipo di interesse nei legami amorosi. Riri potrà pure cercare di forzare la nascita di momenti romantici, ma il legame tra i due va ben oltre il brivido provato per i due corpi che finiscono goffamente l’uno sull’altro. Inizialmente, i due si sentono a proprio agio quando sono insieme. Vivendo nella stessa casa (condizione sempre forzata dalla magia), si conoscono tanto da sviluppare uno stretto rapporto di fiducia in cui c’è una profonda comprensione dell’emotività dell’altro/a.
La presenza di Anzu permette a Kazuki di superare diverse situazioni per lui difficili (la vita scolastica o il giro dello shopping) e, soprattutto, gli consente di processare il trauma subito come vittima di stalking. Da persona incapace di esprimere la propria volontà e spaventata dalle relazioni con il prossimo a causa della sua bellezza, Kazuki impara nuovamente a entrare in connessione con le persone e smette di sentirsi in colpa per ciò che è successo. Può farlo perché accanto ha una persona che in maniera del tutto naturale e spontanea lo ascolta, lo abbraccia e gli dice:
Mi dispiace solo che, se fossi diventata tua amica prima, avrei potuto credere a te, prima di chiunque altro.
Gesti e parole simili possono essere molto più potenti di un qualsiasi “ti amo”. Di certo, ne definiscono (almeno in parte) il significato. Il legame di Anzu e Kanzuki è fatto di supporto, di fiducia, di ascolto, di protezione e di cura. È autentico e sincero. Li cambia, ma in maniera spontanea, senza forzature. Forse non si concretizzerà mai in un rapporto romantico, ma si è già dimostrato ciò che una relazione dovrebbe essere: un’aggiunta in gradi di arricchire la propria esistenza.
Anzu, Junta e Hijri
Il rapporto che Anzu ha con gli altri due ragazzi, Junta e Hijiri, è diverso e ci mostra altri aspetti dell’amore.
Junta è l’amico d’infanzia (figura immancabile nel mondo dello shojo e in molte storie d’amore occidentali) da sempre affascinato da Anzu. È stata proprio lei la prima a notare i suoi pronti riflessi e a suggerirgli di praticare baseball, disciplina nella quale Junta diventa un vero e proprio astro nascente. Nonostante i suoi sentimenti, il ragazzo non è morboso nei confronti di Anzu e anche quando è geloso di Kazuki, non diventa mai aggressivo né spiacevole. Parte dal presupposto che la ragazza debba essere libera di scegliere e che, comunque vada, potrà avere la consapevolezza che lei è felice. Quando si dice che l’amore è disinteressato, s’intende esattamente questo. È difficile arrivare a una simile consapevolezza, ma è un passaggio necessario per creare dei rapporti veramente solidi e arricchenti.
Il rapporto tra Anzu e Hijiri è molto più altalenante a causa del carattere viziato di lui. Eppure, anche in questo caso la presenza dell’eroina consente al ragazzo di cambiare il suo punto di vista sul mondo. Dopo il netto rifiuto di Anzu di avere a che fare con lui, Hijiri inizia a prendere consapevolezza dell’esistenza di altri esseri umani con le loro caratteristiche e desideri. Decide, quindi, di prendersi delle responsabilità e di scoprire com’è davvero il mondo che lo circonda. E che cos’è l’amore se non un modo per crescere?
Una vera anti-eroina?
Kazuki, Junta e Hijiri saranno pure ikemen (bei ragazzi), ma nessuno di loro batte Anzu in quanto a figaggine.
La protagonista di Romanic killer è tra i miei personaggi preferiti di sempre, un po’ come Maomao di The apothecary diaries. È divertente, leale, gentile e genuinamente buona. Tanto sa essere goffa quanto forte quando si tratta di difendere chi o cosa le sta a cuore. È determinata e non permette a niente di mettersi tra lei e ciò che le piace davvero.
Spesso nel corso della serie, Riri la definisce come un’anti-eroina. In effetti, Anzu è proprio l’opposto delle eroine shojo a cui siamo abituate. Anche se la sua ingenuità e la sua sbadataggine ricordano un po’ quella di Bunny in Sailor Moon, siamo ben lontane dai modelli canonici. Le protagoniste solitamente sono bellissime e riescono facilmente in tutto ciò che fanno. Hanno ottime doti in cucina o nell’ambito domestico e anche nei casi in cui non siano particolarmente interessate all’amore, lo accolgono facilmente non appena si presenta il bono di turno. Anzu non è e non fa nulla di tutto questo.
La protagonista di Romantic killer sembra più uscita fuori da un manga shonen che non da uno shojo. In merito a questo, è sicuramente curioso che i capitoli siano stati pubblicati proprio su Shonen Jump+, la piattaforma online di Shueisha, nota soprattutto per la pubblicazione di Weekly Shonen Jump su cui abbiamo letto One Piece, Dragon Ball, Jujutsu Kaisen e Naruto. Ed è proprio al protagonista di Kishimoto che mi è venuto da pensare mentre riflettevo sul personaggio di Anzu. Il modo assoluto in cui difendono ciò in cui credono, la loro incorruttibilità e la loro innata propensione a far del bene a chi li circonda li rende sicuramente degni del titolo di eroe ed eroina. Vedere finalmente una donna con queste caratteristiche è davvero liberatorio.
Una storia divertente con tematiche importanti
Oltre a parlare d’amore, Romantic killer affronta altri temi ugualmente importanti per la nostra generazione e ancora fortemente attuali. D’altra parte, il manga di Wataru Momose è uscito tra l’estate del 2019 e quella del 2020, non molto tempo fa.
La bellezza come maledizione
Dire che siamo ossessionati/e dal tema della bellezza non mi sembra esagerato. Ogni anno spendiamo una grandissima quantità di soldi per curare il nostro aspetto fisico. Molti danno la colpa ai social e sicuramente la necessità di apparire sempre al meglio di modo da poter essere giudicati meritevoli e invidiati per la perfezione che ostentiamo è una delle grandi piaghe dei nostri tempi. Eppure, l’importanza di essere belli/e, affascinanti, desiderabili è da sempre qualcosa che ci viene richiesto dalla società.
Nelle favole, il principe e la principessa hanno sempre un bell’aspetto proprio come gli eroi dell’epica classica. Decantare la bellezza della donna amata o provare a catturarne le sembianze con il proprio pennello è stato quasi un obbligo per gli artisti del passato. I primi divi e dive del cinema venivano scelti quasi solo esclusivamente in base all’aspetto più che per la bravura.
Siamo così presi dal desiderio di sembrare perfetti che non ci fermiamo mai a chiederci quale peso possa essere essere belli/e in una società come la nostra. Diamo sempre per scontato che sia la condizione ideale e non pensiamo ai rischi o alle sofferenze che queste persone incontrano. Romantic killer ce lo spiega molto bene attraverso le storie di Saki e di Kazuki.
L’amica di Anzu viene continuamente corteggiata solo in quanto bella ragazza, ma nessuno sembra davvero interessarsi a lei come persona. Per non apparire presuntuosa (una delle critiche che facilmente si muovono ai belli), si sente costretta a fidanzarsi con un ragazzo che prima tenta di sedurla, poi sparge voci false su di lei a scuola. Solo Anzu è disposta a credere alla versione di Saki e darà alla ragazza la forza di reagire alle chiacchiere.
La storia di Saki occupa pochissimi minuti nello show eppure già da sola servirebbe per parlare dei tanti preconcetti che si hanno nei confronti di una persona solo perché bella (soprattutto se è donna). In realtà, l’essere continuamente guardati, invidiati, fraintesi solo per il proprio aspetto fisico può essere altrettanto doloroso di quando si viene giudicati perché non si rispecchiano determinati canoni estetici.
Lo stalking: un problema anche al maschile
La bellezza di Kazuki, invece, lo porta a diventare l’oggetto del desiderio di tantissime donne, compresa Yukana Kishi, la donna che diventerà la sua stalker.
È sicuramente interessante scegliere una figura maschile come vittima di stalking anche se chi ha visto Baby Rendeer potrà trovarlo non così originale e soprattutto molto più semplicistico. Ma ricordiamoci che siamo nel mondo manga e anime, quindi il pubblico di riferimento è tendenzialmente diverso.
In realtà, anche se le dinamiche tra aggressore e vittima sono meno problematizzate, il tema è trattato in maniera molto delicata e matura mostrandoci il lato più oscuro dell’attrazione: l’ossessione.
Perché guardare Romantic killer a San Valentino
Romantic killer è l’anime perfetto da guardare durante la giornata di San Valentino. È breve, avvincente, porta con sé tematiche importanti… e soprattutto fa ridere. A sottolineare il lato comico della storia intervengono i disegni spesso esagerati che fanno un uso di linee di contorno più spesse e visibili così da mettere in rilievo l’aspetto comico della scena. Molte scene vi porteranno allegria anche dopo averle già viste. Tra le mie preferite ci sono l’invocazione di Momoichi da parte di Anzu per resistere al fascino di Kazuki e il terrore di Junta e Anzu davanti a uno scarafaggio.
Molti denigrano San Valentino come una trovata commerciale che nulla a che fare con i rapporti umani. Ma tutto dipende dal valore che si dà alle ricorrenze. Potremmo vivere questa giornata come la celebrazione dell’amore inteso come quel sentimento indispensabile alla vita di tutti/e noi che ha così tante sfaccettature da essere difficile da descrivere. Qualsiasi forma assuma, però, deve tendere al bene.
Romantic killer ci racconta questo.
Scheda tecnica
Titolo originale: | Romantikku Kira |
Studio di animazione: | DOMERICA – Netflix |
Anno di uscita: | 2022 |
Manga: | 4 volumi pubblicati da Planet Manga. In Giappone i capitoli sono stati pubblicati su Shonen Jump+ da luglio 2019 a giugno 2020. |
Genere: | commedia e dramma sentimentale |
Voto: | 5/5 |
Da guardare se: | si ha voglia di ridere e/o di guardare una storia con ottimi personaggi e con tematiche importanti. Oppure se amate i gatti. |
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».

The apothecary diaries: misteri e delitti nel Palazzo Imperiale
Se mi chiedessero di nominare i miei anime del cuore, The apothecary diaries figurerebbe tra i primi 5 titoli. Dalla prima volta che l’ho visto (parliamo dell’autunno del 2024, quindi non molto tempo fa), mi è rimasto in testa e non ho potuto fare a meno di innamorarmene. L’arrivo dei nuovi episodi su Chruncyroll ogni venerdì mi ha fornito la scusa perfetta per un ulteriore rewatch. Mi serviva per raccogliere un po’ di idee su cosa scrivere in questo articolo, ma non posso negare di essermelo goduto tantissimo, proprio come la prima volta.
La trama de Il monologo della speziale
Maomao è una giovanissima speziale che lavora nel quartiere dei piaceri cittadino. Ama qualsiasi cosa abbia a che fare con il mondo dei farmaci e trascorre il tempo a sperimentare nuove cure o a studiare erbe, veleni e le proprietà di elementi vegetali o animali. Tutto questo fino al giorno in cui non viene rapita e venduta come serva alla Corte Interna del Palazzo Imperiale, il luogo in cui sono radunate le numerose cortigiane tra le quali l’Imperatore dovrà scegliere la sua sposa. Pur volendo passare inosservata, Maomao non può fare a meno di tenere a bada la sua curiosità né il suo senso di giustizia. E così, quando si accorge del perché i neonati figli dell’imperatore stanno deperendo a vista d’occhio, escogita un modo per salvare loro la vita. In questo modo, finisce per farsi notare da Jinshi (in italiano Renshi, non so bene perché), un personaggio misterioso e importante della Corte Interna, che inizierà a coinvolgerla nella risoluzione degli intrighi di palazzo.
La Sherlock della Corte Interna
Inizialmente, sembra che ogni puntata sia incentrata su un enigma da risolvere. Solo dopo alcuni episodi ci si rende conto che i fili delle diverse trame sono inevitabilmente intrecciati e hanno molto più da raccontarci di quanto non abbiano già fatto. Per ogni mistero risolto si aprono altri punti interrogativi che rendono la trama sempre più intricata e sorprendente.
Al centro di questa fitta rete di macchinazioni e d’imbroglio si trova – spesso suo malgrado – Maomao. Grazie alle conoscenze accumulate nel tempo e attraverso un’attenta analisi di ciò che le si presenta davanti agli occhi, la speziale riesce ad arrivare sempre alla risoluzione del problema. Nonostante il suo brillante intuito, la ragazza cerca sempre prove che riescano a dimostrare le sue congetture.
Questa struttura a giallo combinata con la presenza di una protagonista simile mi hanno riportato alla mente Sherlock, la meravigliosa serie con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman. Ho rivisto il detective del 221B di Baker Street nella giovane speziale. È probabile che questo sia uno dei motivi per cui non ho potuto fare a meno di amare The apothecary diaries.
Un’eroina atipica (e meravigliosa proprio per questo)
Trovo entusiasmante che al posto dell’uomo intelligente e arguto vediamo agire una donna dalle stesse qualità. Non è scontato, soprattutto nel mondo dei manga e degli anime. In queste narrazioni è difficile trovare personaggi femminili in grado di autodeterminarsi o con caratteristiche fisiche e caratteriali lontane dai modelli canonici che ruotano intorno agli archetipi della giovane vergine o della femme fatale.
Maomao non è solo molto intelligente e competente nel suo settore, ma è anche completamente disinteressata all’aspetto sentimentale. Il suo unico amore sono le piante, i veleni, i medicinali. Non nutre il minimo interesse per altro, tanto da distrarsi facilmente quando la conversazione prende una piega per lei poco stimolante per lei. Bisogna però riconoscere che lo sviluppo delle sue abilità mediche non è stato solo frutto di passione, ma anche di necessità. Provenendo da una classe sociale bassa, Maomao è consapevole che potrà ottenere solo quello che sarà in grado di raggiungere con le sue capacità. Pur di vivere una vita lunga e tranquilla, Maomao affina al massimo le sue conoscenze e cerca di non farsi coinvolgere più del dovuto, soprattutto quando si tratta di venire a conoscenza di segreti importanti. Nutre una forma di compassione per chi come lei ha pochi mezzi tanto da non voler puntare il dito contro nessuno neanche se colpevole.
È un’eroina che s’imbruttisce pur di non attirare attenzioni non volute. Non si preoccupa di sporcarsi, di avere un odore sgradevole o di comportarsi come tutte le altre ragazze in cerca di marito. Maomao s’ingegna per bastarsi da sola. Tutto questo la rende un gran bel personaggio.
Un coprotagonista che ricorda le ragazze degli shojo
Negli shojo manga o nelle light novel in cui le protagoniste sono donne è piuttosto difficile trovare uomini che s’innamorano senza essere ricambiati (a meno che non siano gli amici d’infanzia). In The apothecary diaries succede. Non vediamo il sentimento d’amore crescere nella donna tra sfondi a fiori e tormenti interiori degni dell’Amleto shakespeariano. In quest’anime – tratto dai romanzi di Natsu Hyūga – è Jinshi a cadere preda del furor amoris. Tra l’altro, la “vera bellezza” della storia è proprio lui, non Maomao.
Il capo della Corte Interna è un altro personaggio molto interessante che la serie ci offre. Alla fine della prima stagione, la sua vera identità non è ancora palesata, anche se intuibile. Il suo carattere infantile a allo stesso tempo generoso e volenteroso di imparare ricorda quello caratteristico delle protagoniste shojo. Anche lui, un po’ come Maomao, aspira alla possibilità di autodeterminarsi e a poter scegliere chi essere. È interessante che pur appartenendo a una classe sociale molto più alta di quella di Maomao (tra le più auspicabili), Jinshi si senta ugualmente prigioniero della sua condizione e sia esposto a dei rischi. La seguente riflessione di Maomao in una delle puntate è illuminante da questo punto di vista:
La Corte Interna è una gabbia d’oro. Non è poi così diversa dal quartiere dei piaceri.
Una storia d’amore tutta particolare
La dinamica relazionale tra Jinshi e Maomao è estremamente divertente e rappresenta uno dei nodi fondamentali intorno ai quali si intreccia la storia. L’incapacità della speziale di afferrare i sentimenti del ragazzo e la sua totale mancanza di malizia anche nelle situazioni più imbarazzanti (come l’ “esame” del corpo di Libai) rendono molte scene comiche e memorabili.
È chiaro che l’intenzione è quella di portare i due ad avvicinarsi e Maomao ad aprirsi all’amore. Gli ostacoli per la coppia potrebbero essere numerosi. Più che la classe sociale, è proprio l’atteggiamento e la personalità della speziale che dovranno subire una trasformazione per permettere alla storia di sbocciare. Sarà interessante vedere come avverrà tutto ciò.
Una serie ricca di temi in un’ambientazione storica credibile
The apothecary diaries tratta tantissimi temi secondari legati alle singole vicende che di puntata in puntata occupano la scena. Dall’invidia verso chi si reputa più fortunata (salvo scoprire poi che non lo è affatto) all’avvicendarsi della fortuna e della sfortuna. Dall’incapacità di comunicare i propri sentimenti al cercare di fare del proprio meglio per ottenere ciò che si desidera.
Alla grande varietà di tematiche si accompagnano tantissimi personaggi provenienti da ogni classe sociale e dai caratteri più disparati. Le loro vicende hanno come sfondo due ambientazioni principali speculari tra loro: la corte imperiale e il quartiere popolare. Quest’ultimo è dipinto come un luogo povero, brutale, affamato di denaro. Sentimenti d’amore e di fratellanza/sorellanza sopravvivono, ma rischiano di essere fatali a chi li dimostra. La Corte Interna può apparire più raffinata grazie alla maestosità dei palazzi e alla rigida etichetta, ma le passioni e gli interessi che la animano sono le stesse della città. D’altra parte, la natura dell’essere umano è sostanzialmente quella. L’educazione e i contesti possono variare al punto da rendere alcuni meccanismi più nascosti e più complessi, ma la base di partenza è sempre la stessa: il desiderio di qualcosa che non si ha.
Animazione e colonna sonora
L’animazione di The apothecary diaries funziona sempre molto bene. L’alternanza tra disegno comico e serio – spesso compresente – movimenta le puntate e contribuisce a rendere il ritmo scorrevole e godibile. I colori usati sono vivaci e adatti all’atmosfera raccontata. Non mancano scelte di regia più cupe che riguardano le storie più inquietanti. In particolare, penso alle sequenze del terzo episodio in cui compare la donna che balla sulle mura oppure lo sguardo quasi omicida di Maomao quando Jinshi nomina suo padre.
Un altro aspetto della serie che trovo meraviglioso sono le opening e le canzoni presenti in alcuni momenti iconici della serie. Vi lascio la mia preferita in assoluto, nel caso la vogliate (ri)ascoltare.
La seconda stagione di The apothecary diaries
L’uscita della seconda stagione di The apothecary diaries era tra le mie grandi attese del 2025. Ho iniziato a vederla, ma sono così curiosa di conoscere i futuri sviluppi che ho iniziato a leggere anche il manga dal punto in cui si è conclusa la prima serie. Credo anche che, una volta finiti i tankobon, andrò avanti con i romanzi. Devo sapere assolutamente che cosa succede!
Parleremo anche della seconda stagione… nel frattempo, se non avete ancora avuto modo di incontrare Maomao, vi consiglio di darle una possibilità di catturarvi con la sua intelligenza e il suo spirito.
Scheda tecnica
Titolo originale: | Kusuriya no hitorigoto |
Studio di animazione: | Toho Animation Studio |
Anno di uscita: | 2023 (dal 21 ottobre al 23 marzo 2024) |
Manga: | 14 volumi attualmente disponibili, ma la serie è ancora in corso. In Giappone, il manga è serializzato da Square Enix su Monthly Big Gangan. In Italia, i 13 volumi disponibili sono editi da J-Pop. |
Genere: | seinen, storico, giallo e sentimentale |
Voto: | 5/5 |
Da guardare se: | si amano i misteri, le ambientazioni storiche e le protagoniste anticonvenzionali. |
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».

Il logo di “Anime a Merenda… e Manga a Colazione”
Non appena ho partorito l’idea di questo blog a tema anime e manga, ho subito pensato di disegnare io stessa il logo del sito.
Una volta scemato l’entusiasmo, i dubbi hanno iniziato ad assalirmi: sarei stata effettivamente in grado di creare un’immagine bella e d’impatto? La risposta fornita da anni e anni di mancata autostima è stata, chiaramente, “no”. In effetti, disegnando attivamente da poco più di un anno, ero consapevole che sarebbe stato difficile tirar fuori qualcosa di visivamente efficace non solo per i limiti della mia tecnica (ancora in fase di crescita), ma anche per la mia mancata capacità di usare i colori. Sebbene io abbia intenzione di imparare a farlo (è uno dei miei obiettivi di quest’anno per il disegno), mi ci vorrà comunque del tempo prima di abituare l’occhio e la mano. Non avevo intenzione di aspettare così tanto a lungo: avrei rischiato di perdere entusiasmo e di procastinare.
Per rendere giustizia al tempo passato in psicoterapia, ho deciso di non scoraggiarmi e di provare a disegnare qualcosa con le mie capacità del momento. Se proprio non fosse uscito nulla di buono, avrei potuto comunque usarlo come esercizio utile per riprendere gli studi di prospettiva.
Una ragazza davanti alla tv…
A dispetto della mia insicurezza, la mia mente ha subito ideato l’immagine del logo. È vero che il nome del blog tracciava già la strada.
Ho subito pensato a un disegno che ritraesse una ragazza intenta a guardare assorta la tv. Lei avrebbe dovuto avere caratteristiche fisiche molto simili alle mie (per quanto stilizzate) e l’ambiente circostante avrebbe dovuto ricreare un’atmosfera nerd e orientale. Per definire l’immagine che avevo in testa, mi sono scattata delle foto in salotto. Non ho il coraggio di mostrarle, ma mi sono divertita molto a provare diverse angolazioni. Alla fine, ho scelto una foto che aveva in primo piano la televisione (e la Ps5) dietro la quale apparivo io seduta a gambe incrociate per terra.
Mi sono messa all’opera, ma come immaginavo non è stato affatto semplice. Ho cercato di applicare la prospettiva con un punto di fuga e di riprodurre quello che vedevo in foto nella maniera più fedele possibile. Ciò che è venuto fuori, però, non mi piaceva.
… una ragazza che legge
Per rincuorarmi, ho deciso di provare ad abbozzare un’altra immagine che mi ronzava in testa e che nasceva dal sottotitolo del blog. In questo sito si parla di anime visti a merenda e di manga letti a colazione. Quindi, la ragazza avrebbe dovuto anche leggere qualcosa oltre a stare davanti alla televisione.
Il mio salotto è stato nuovamente allestito come set fotografico. Questa volta, ho reso protagonista la poltrona dell’angolo lettura. Dopo aver trovato una posizione più dinamica ma semplice da riprodurre e averla immortalata sull’iPad, ho ripreso la matita e ho ricominciato a disegnare.
Il risultato è stato questo:

Chat GPT pensaci tu!
Il disegno della ragazza che legge non mi dispiace affatto. Sono anche piuttosto contenta di come sono riuscita a riprodurre la profondità della poltrona e la posa che avevo assunto. Nonostante tutto, però, non ero convinta di poter usare quest’immagine come logo.
A rendermi perplessa era soprattutto l’uso del bianco e del nero. Per quanto mi piaccia in generale, non lo vedo adatto a un blog. Non è sufficientemente d’impatto, almeno per come lo disegno io. E così, ho pensato di chiedere aiuto a Chat GPT. La “consegna” che le (o gli?!?) ho dato era la stessa da cui ero partita per realizzare la ragazza davanti alla tv. Sfortunatamente, non ho potuto inserire i riferimenti a Jujutsu Kaisen, a Naruto o a Berserk per non violare il copyright.
Ho fatto diversi tentativi.




Dopo aver tolto gioielli inutili, aver allungato i capelli, chiesto vestiti migliori e qualche poster in meno, è venuta fuori lei:

Non appena l’ho vista, ho capito che era quella giusta. Io adoro il giallo e la sua grande presenza in quest’immagine non fa che renderla ancora più bella. Ho comunque voluto fare un ultimo tentativo chiedendo a Chat GPT di mettere la ragazza di fronte alla tv.

Per quanto l’immagine fosse ugualmente interessante, non mi restituiva quello stesso impatto che la figura frontale è in grado di offrire. E così, il logo di Anime a Merenda è stato deciso.
Non è un mio disegno e un po’ mi dispiace… ma continuerò a provarci e chissà che un giorno non riesca a realizzare qualcosa di altrettanto accattivante e carino.
E voi che ne pensate di questo logo?
Federica Crisci

Sulle linee di Kishimoto: qualche disegno a tema Naruto
Ho incontrato Naruto per la prima volta a Campobasso. I suoi occhi azzurri così pieni di determinazione e di energia mi fissavano allegri dallo scaffale della libreria su cui mia cugina aveva sistemato i suoi volumi del manga. A quel tempo non mi ero ancora addentrata nel mondo del fumetto giapponese (come vi ho raccontato nella mia presentazione) né avevo il coraggio di tenere una matita in mano, convinta com’ero di non essere portata per farlo. Invece Alessandra (così si chiama mia cugina) era appassionata di entrambe le cose e le condivideva con me ogni qualvolta il discorso verteva in quella direzione. È stata lei la prima a spiegarmi la differenza tra shojo e shonen e sempre lei mi ha raccontato a grandi linee la storia di Naruto. Inoltre, quando lodavo i suoi meravigliosi schizzi, mi ha sempre detto di essersi lasciata influenzare dallo stile di Kishimoto.
I disegni di Kishimoto sono proprio belli.
Me l’ha ripetuto spesso. Sarebbero passati un bel po’ di anni prima che io potessi capire a fondo che cosa intendesse. Però ci sono arrivata.
Uno stile classico da amare
Sfogliando le pagine di Naruto è impossibile non restare affascinati dai disegni. I volti dei personaggi molto “realistici”, la gestione dei retini, l’uso del bianco e del nero, la regia quasi cinematografica delle inquadrature mi hanno spesso provocato espressioni di esaltato stupore durante la lettura.
Osservando le tavole di Masashi Kishimoto è difficile non innamorarsi del disegno manga. Analizzando le sue tecniche di racconto, è facile imparare come si narra una storia a fumetti in maniera efficace. Non avrei problemi a definire “classico” lo stile del mangaka. È lineare, pulito, d’impatto. Un punto di riferimento a cui guardare per prendere ispirazione e per stimolare la creatività.
Guardando le vignette non si hanno dubbi su come procede la storia né su cosa stia succedendo. I personaggi sono espressivi e i loro corpi “recitano” le azioni in maniera credibile e anatomicamente convincente. E che dire delle ambientazioni? Il Villaggio della Foglia è particolareggiato e reso con estrema cura così come molti altri luoghi in cui la vicenda è ambientata.
Imparare a disegnare grazie a Naruto
Una volta riuscita a vincere i dubbi e le resistenze sulla possibilità di imparare a disegnare, non ho potuto fare a meno di confrontarmi con le linee di Naruto. All’inizio ho usato i protagonisti per studiare l’anatomia del volto e del corpo o le caratteristiche espressive delle emozioni basilari. Nella maggior parte dei casi, prendevo come spunto i frame dell’anime estrapolati da internet. Più raramente, ho disegnato partendo dalla mia immaginazione (e credo che si capisca quali siano guardando gli schizzi).









Naruto e Sakura mi sono sempre usciti abbastanza facilmente. Disegnare Sasuke, invece, si è rivelata una vera e propria impresa. Sfogliando il mio blocco da disegno, ho trovato una serie di schizzi dedicati al personaggio preferito da Kishimoto in cui sono evidenti i miei tentativi di familiarizzare con la fisionomia del personaggio.
Le tavole riprese dal manga
Nel momento in cui ho iniziato a leggere il manga non ho potuto fare a meno di volermi misurare direttamente con le creazioni di Kishimoto. E così è iniziato il mio “periodo Naruto”. La maggior parte dei disegni che vi mostro in questo articolo è nata mentre ero in vacanza al mare a Paestum. Mi ero imposta di completare almeno un disegno al giorno e così ho fatto.
A differenza degli schizzi mostrati prima, questi disegni sono completi e sono tutti riprodotti partendo da un’attenta e devota osservazione delle tavole dell’autore.









Un po’ di colore
Ho usato i personaggi di Naruto anche per provare i pastelli per la prima volta.


Devo ammettere che è passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che mi sono cimentata con i disegni di Kishimoto. Mi mancano! Credo che ci tornerò presto…
Federica Crisci

Solo Leveling: quando livellare è questione di vita o di morte
Avere la possibilità di trascorrere un’intera giornata a casa dedicandosi solo al relax, alle maratone di anime o alle letture avvincenti è un lusso difficile da conquistare nei ritmi frenetici e sociali a cui siamo abituati oggi. Tuttavia, con un po’ di organizzazione, volontà e un pizzico di fortuna, è possibile riuscire a ritagliarsi del tempo di qualità per vivere un’esperienza simile (anche più spesso di quanto si creda).
Per rendere occasioni simili veramente rigeneranti è importante scegliere l’anime giusto. Ne serve uno breve, dalla storia accattivante e avvincente al punto tale da non riuscire a mollare lo schermo per più di 10 minuti. Solo Leveling risponde perfettamente a questi requisiti e si presta, quindi, a essere un’ottima scelta in queste situazioni.
Devo però ammettere di non averlo visto in una sola giornata. Non avendo idea di che cosa mi sarebbe aspettato, ho iniziato a guardarlo una sera verso le 11:30. Alla fine della quarta puntata, ero felice che non ci fosse un cliffhanger importante (come nelle precedenti) visto che il giorno dopo mi toccava andare a lavoro e non potevo permettermi di restare sveglia tutta la notte.
La trama di Solo Leveling
Dopo che sono iniziati a comparire portali (Gate) in grado di collegare il nostro mondo con un’altra realtà popolata di mostri (chiamata dungeon), in alcuni individui si sono risvegliati dei poteri speciali. Tali abilità hanno diversa natura e varie intensità tanto da aver vita a una vera e propria classificazione delle stesse. Il grado S rappresenta il più alto, mentre l’E il più basso. Ci si può allenare per migliorare forza e resistenza, ma è impossibile salire di livello. Gli esseri umani dotati di poteri sono stati chiamati Hunter e a loro è stato affidato il compito di difendere il mondo combattendo i mostri e chiudendo i Gate che di volta in volta si aprono. Tra loro, a Seul, c’è anche Jinwoo Sung, grado E. Nonostante rischi spesso di perdere la vita e venga preso in giro da tutti gli altri Hunter per il suo basso livello, Sung continua a partecipare ai raid dentro i dungeon perché deve mantenere le cure mediche della madre (caduta in coma dopo l’apertura dei portali) e la sorella minore che va ancora a scuola.
Durante una delle solite spedizioni, il gruppo di Jinwoo si ritrova in un dungeon anomalo in cui vivranno un’esperienza traumatica, terrificante e per molti fatale. Lo stesso protagonista si dovrà confrontare con la morte… e con la resurrezione.
Per capire se la trama vi intriga o meno, non serve altro. Nei prossimi paragrafi, scriverò liberamente riflessioni sull’intera storia, quindi potrebbero esserci spoiler. Se volete evitarli, tornate pure quando avrete visto almeno la prima stagione.
Cosa significa livellare
Scampato per un soffio alla morte, Jinwoo ottiene la possibilità di diventare un Player. Di conseguenza, vive come se si trovasse in un videogioco. Deve completare obiettivi giornalieri e missioni, riceve ricompense, può equipaggiarsi di armi e oggetti utili e, soprattutto, può livellare. Seguendo le indicazioni fornite da schermi che solo lui può vedere, gli è permesso aggiungere punti alla forza, all’agilità, alla velocità e all’intelligenza, diventando così sempre più capace. Ben presto, quindi, può affrontare da solo anche i dungeon più difficili.
Durante tutta la prima stagione assistiamo all’evoluzione e alla crescita fisica di Jinwoo il cui unico pensiero, una volta scampato alla morte, è diventare più forte. Lo vediamo prendersi cura della sorella e cercare di recuperare un elisir in grado (presumibilmente) di svegliare sua madre dal coma, ma la sua preoccupazione costante è trovare nemici da affrontare per poter salire di livello. In questa ricerca continua di miglioramento non ho potuto fare a meno di avvertire una componente quasi ossessiva. Sarebbe del tutto giustificabile e comprensibile visto quanto vissuto da Jinwoo. Non è solo il trauma di essere stato quasi ucciso tra indicibili sofferenze. È anche la voglia di riscatto dopo anni passati a sentirsi debole e messo in ridicolo per il suo livello.
Per me è stato inevitabile pensare a tutte quelle persone che a un certo punto della vita si sono imposte un determinato regime alimentare/fisico o addirittura caratteriale perché non si apprezzavano a sufficienza, spesso a causa di giudizi interiorizzati a partire dall’esterno. Tanto più il cambiamento mi è stato esternato, conclamato e decantato, tanto più mi è sembrato doloroso e non sono riuscita a fare a meno di domandarmi (a ragione o a torto) se fosse davvero la strada migliore per quella persona.
Diventare forte equivale a perdersi?
Me lo sono chiesta anche per Jinwoo. E la mia domanda ha poi trovato eco nelle parole del protagonista dell’episodio 9, You’ve been hiding your skills.
Senza dubbio sono diventato più potente di prima. Però, non capisco perché ogni volta che divento più forte sento dissolversi qualcosa nel profondo della mia anima.
Il potere acquisito, quindi, non è sufficiente, anzi. Anche a causa della sua nuova forza, Jinwoo dovrà confrontarsi con la sensazione di essere un assassino. È vero che uccide poiché costretto, ma il risultato non cambia. La nuova condizione gli impone delle responsabilità e delle scelte gravose che lo portano a perdersi e anche a isolarsi. Questa mancanza di legami si riflette in chi guarda: non ci sono molti altri personaggi a cui affezionarsi in Solo Leveling, almeno nella prima stagione.
Il confronto d’obbligo con il vecchio sé
In questo gioco a livelli il cui vero scopo è cancellare il vecchio sé è inevitabile che questo arrivi a materializzarsi per ricordare che nel profondo esiste ancora. Succede – anche se con dinamiche completamente diverse – anche nella puntata conclusiva della prima stagione de Il mio matrimonio felice. Nell’ultimo episodio, mentre è impegnato in uno scontro mortale da cui non può sottrarsi per cercare di acquisire un nuovo ruolo, Jinwoo incontra il ragazzo che era prima di diventare un Player. Quest’ultimo con sguardo allucinato e un sorriso sadico gli ricorda che nel profondo non è nient’altro che un debole. Inoltre, giudica gli sforzi compiuti fino a quel momento del tutto inutili visto che finirà comunque per essere ucciso. Un colpo di fortuna strappa Jinwoo alla morte e a questo confronto. È possibile che ce ne sia un altro in futuro, visto che il dibattito è rimasto alquanto aperto.
Ciò che è interessante è che in qualsiasi percorso di cambiamento è impossibile eliminare ciò che si è stati prima. La domanda è se sia veramente giusto demonizzare il proprio sé del passato piuttosto che accoglierlo come una fase necessaria o come una parte del proprio essere bella anche con tutti i suoi difetti.
Essere forti: un pregio o un difetto?
Ciò che Jinwoo rifiuta del sé del passato è la debolezza, in parte obbligata dal basso grado dei suoi poteri. Qui si potrebbe aprire un grandissimo dibattito sul valore da dare al concetto di debolezza e di forza, spesso considerate rispettivamente come un difetto e un pregio della persona. Al giorno d’oggi si potrebbe argomentare che considerare la sola forza fisica come la Virtù è piuttosto limitativo soprattutto se questa viene a scapito di intelligenza emotiva o della capacità di giudizio.
È vero che probabilmente Solo Leveling non è un anime che vuole aprire riflessioni simili. Piuttosto, vuole porre l’accento sul fatto che in un mondo crudele ed egoista è necessario fare del proprio meglio per non soccombere. Se deciderà di porre l’accento sul prezzo che una simile scelta comporta (un po’ come vediamo in Attack on Titan), lo vedremo nelle prossime stagioni.
Solo Leveling: un anime da vedere
Al di là delle speculazioni tematiche, devo ammettere che Solo Leveling è un bell’anime da guardare. Funziona tutto, dai disegni alle animazioni passando per la colonna sonora. L’opening mi ha stregata, tanto che l’ho ascoltata a ripetizione mentre scrivevo tanto che ho deciso di lasciarvela qui, nel caso aveste voglia di risentirla.
Un aspetto interessante dell’anime è la sua ambientazione a Seul. Invece delle metropoli giapponesi, questa volta vediamo le strade e i locali dai nomi molto particolari (alzi la mano chi non è rimasto a bocca aperta davanti al fotogramma con l’insegna “Cafè Pene”) della capitale della Corea del Sud. Non potrebbe essere altrimenti visto che Solo Leveling ha origine dalla mente dello scrittore coreano Chugong. Dopo il successo ottenuto dal light novel, la Kakao ha realizzato un manhwa a colori per la propria piattaforma online. L’opera è approdata in Giappone grazie A-1 Pictures che ne ha realizzato l’anime diretto da Shunsuke Nakashige e scritto da Noboru Kimura.
Personalmente, ho adorato l’uso del lessico caratteristico dei videogiochi. Probabilmente non è una novità. È possibile che guardando opere come Sword Art Online o Black Clover, mi renda conto che è più una prassi che non una vera e propria scelta coscienziosa e ragionata. Ma dato che mi risulta nuovo, l’ho trovato particolarmente interessante.
La seconda stagione di Solo Leveling
Dal 4 gennaio 2025 sta andando in onda su Chruncyroll la seconda stagione di Solo Leveling. Mi ero ripromessa di guardare la prima seria durante questo nuovo anno non solo perché ne avevo sentito tanto parlare, ma anche per godermi le uscite dei nuovi episodi in diretta. Proprio per questo, è stata la prima che ho deciso di debellare dalla lista. Devo ammettere che ne è davvero valsa la pena.
Scheda tecnica
Titolo Originale: | Na honjaman reber-eop |
Studio di Animazione: | A-1 Pictures |
Anno di uscita: | 2024 (dal 6 gennaio al 30 marzo) |
Manhwa: | 13 volumi pubblicati su KakaoPage. In Italia i volumi sono 26 e sono editi da Star Comics |
Genere: | azione e fantasy |
Voto: | 4,5/5 |
Da guardare se: | si amano i videogiochi, i combattimenti, le storie di riscatto personale… o i figoni. |
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».

Gli anime che ho intenzione di recuperare nel 2025
È tempo di buoni propositi! D’altra parte, siamo a gennaio. Non potrebbe esserci momento migliore per stilare una lista di obiettivi a breve, medio o lungo termine da perseguire nei prossimi mesi o magari anni. A dispetto delle tante critiche che ritengono operazioni simili del tutto inutili, credo che sia importante avere delle “missioni” giornaliere, settimanali e/o mensili da portare a termine. Aiuta a mantenerci motivati, ad emozionarci e a prenderci cura di noi stessi. Inoltre, il raggiungimento dello scopo comporta sempre soddisfazioni che, piccole e grandi che siano, rendono migliori le giornate.
La lista dei buoni propositi può comprendere qualsiasi tipo di intenzione: traguardi pratici, attività fisica, posti da visitare, elenco di cose da fare o di persone da contattare. Personalmente, oltre a definire alcuni obiettivi di tipo lavorativo e personale, ho deciso di stilare anche una lista degli anime che ho intenzione di vedere nel 2025.
In questo elenco rientrano tanti prodotti di vecchia data che non ho ancora avuto modo di vedere visto che la mia passione per il mondo anime e manga risale solo a qualche anno fa. Quindi, non meravigliatevi se compare qualche titolo ultra-famoso o uscito secoli fa. Anzi, se avete qualche altro consiglio da darmi, sono ben accetti!
1. Solo Leveling
Mia sorella e mia cugina me ne hanno parlato bene e sono abbastanza sicure che potrebbe piacermi. In effetti, guardando qualche immagine su Instagram trovo lo stile dei disegni interessante. Il fatto che in questi giorni stia uscendo la seconda stagione, mi dà un motivo in più per iniziare al più presto Solo Leveling così da poter poi seguire le uscite in contemporanea con il Giappone.
2. Given
Anche questo consiglio viene da mia sorella e da mia cugina. Onestamente, dopo essere stata intenerita dalla visione di Sasaki to Miyano, ho proprio voglia di vedere un altro anime BL. Given è tra i più famosi e coinvolgenti. Vedremo se mi piacerà.
3. Fruits Basket
Negli ultimi mesi ho guardato diversi shojo. Di conseguenza, i vari algoritmi all’opera sui social mi hanno iniziato a proporre i più disparati titoli di anime romantici. Tra questi, quello che mi è comparso più volte in assoluto è Fruits Basket. Dai commenti che ho letto sembra che sia una storia incredibile di cui sarà impossibile non fare il rewatch. Sono curiosissima!
4. 7th Time Loop: The Villaniess Enjoys a Carefree Life Married to Her Worst Enemy!
Lo vedrò solo per cercare di ricordarmi tutto il titolo! Scherzi a parte, non so assolutamente nulla di questo anime. Gli algoritmi di cui sopra mi hanno consigliato il titolo e, visto che i character design dei personaggi mi piacciono molto, ho deciso di inserirlo nella mia lista. Speriamo bene!
5. Classroom of the Elite
Anche in questo caso non so assolutamente nulla della trama. Solito consiglio da algoritmo? Solito consiglio da algoritmo! Da quello che ho capito, però, Classroom of the Elite è un anime profondo e psicologico. Già solo questo mi intriga.
6. Re: ZERO
Zero è anche la mia conoscenza della trama e dei personaggi di questo anime. Però se ne parla tanto e anche molto bene. Quindi, perché no?
7. Neon Genesis Evangelion
Neon Genesis Evangelion è tra i classici imperdibili per gli amanti di manga e anime. Durante il mio viaggio in Giappone, sono stata in un izakaya con il karaoke. Quando qualcuno cantava la sigla di quest’anime, tutto il pub si animava e ogni esibizione si chiudeva con un fragoroso applauso. Il mio amico che vive da anni a Tokyo mi ha detto che quella canzone è come un inno nazionale. Già solo da questo si capisce che l’importanza di questa storia. La guarderò!
8. Fullmetal Alchemist: Brotherhood
Un’altra pietra miliare nel mondo manga e anime. Fullmetal Alchemist: Brotherhood mi incuriosisce molto soprattutto perché si tratta di uno shonen scritto da una mangaka. Non ce ne sono moltissimi (almeno che io conosca) e mi incuriosisce molto vedere se ci sono delle differenze nel modo in cui vengono raccontati i personaggi.
9. Dandandan
È l’anime di cui tutti parlavano alla fine del 2024. Dandandan sembra essere un ottimo prodotto. Sebbene non mi attiri troppo, ho deciso di guardarlo entro la fine dell’anno così da poterne avere un’idea. Le persone che conosco che lo hanno visto me ne hanno parlato bene… vedremo.
10. Sword Art Online
Ritornano i consigli dell’algoritmo. Questa volta, però, credo di avere un po’ più chiaro in testo il tipo di storia anche se ora non scriverò nulla per evitare di dire scemenze. Una volta che avrò finito la visione, ve ne parlerò e vedremo se l’algoritmo aveva ragione!
Un anno impegnativo
L’elenco degli anime che voglio vedere assolutamente nel 2025 ha solo 10 titoli. Ho scelto di contenere il numero delle opzioni per non esagerare (non va mai bene scrivere troppi buoni propositi, si rischia di perdersi), ma non è detto che durante l’anno non trovino spazio anche altre serie. A parte che ci sono tanti anime in uscita che non vedo l’ora di guardare, ma poi io sono una a cui piace improvvisare o cogliere le suggestioni del momento. Che nascano da un consiglio spassionato o dall’algoritmo, non importa. Può capitare che segua l’opportunità che si presenta.
Devo anche ammettere che io sono una dal rewatch facile. Mi piace tantissimo guardare e riguardare le cose che ho già visto, soprattutto se mi sono piaciute tanto. È proprio per evitare di rimanere fossilizzata nel passato che mi sono proposta una lista degli anime da vedere.
Vi aggiornerò sulle visioni!
Federica Crisci
Le immagini contenute in questa recensione sono riprodotte in osservanza dell’articolo 70, comma 1, Legge 22 aprile 1941 n. 633 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Si tratta, infatti, di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», nonché per mere finalità illustrative e per fini non commerciali. La presenza in Anime a Merenda non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».